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Crisi, Europa e la lezione dal Cile di Andrés Velasco

di Marco Benedetto |23 Aprile 2012 9:26

ROMA – Andrés Velasco oggi è un professore a contratto alla Columbia University ma fare il professore non è l’unica cosa che sa fare. E’ stato ministro delle Finanze del Cile, quando tornò nel suo Paese che aveva lasciato per scegliere con la sua famiglia l’esilio negli Stati Uniti durante la dittatura di Augusto Pinochet.

Non fu amato all’inizio come ministro, perché durante il boom del prezzo del rame decise di mettere da parte i grandi ricavi da export e non usarli, malgrado le pressioni delle lobby e dei sindacati, per aiutare una economia che già tirava da sola. Finì per essere adorato per averli poi usati sapientemente nella recessione che seguì al calo dei prezzi.

Andrés Velasco sa parlare. Quando scorrerete il breve video qui sotto, lo vedrete grande oratore, quasi attore di Hollywood. Ma la bellezza di una persona è nei contenuti e non nell’apparenza, nella credibilità e nella forza dell’argomentare. E ce n’è di concretezza nel suo discorso.

Velasco nota come a nessuno, in questa crisi globale, sia venuta l’idea né di interpellare i maestri del (recente) passato che avevano ampiamente analizzato crisi simili, né di studiare quei Paesi che di crisi identiche avevano sofferto. Non parla di Keynes o del 1929, ma di economie più vicine a noi, come quelle sudamericane, alle quali per snobberia – sembra dire – i commentatori dei paesi dominanti, facendo orecchie da mercante, non prestano attenzione.

No, crisi come questa – dice Velasco – le abbiamo conosciute bene noi sudamericani. Piantatela di dire che la vostra recessione è la più grave ed è l’unica, come se foste l’ombelico del mondo (che tra l’altro si diceva nell’antichità fosse a Cuzco, in Perù). E soprattutto, ora vi dico quello che vi avremmo consigliato, se voi europei aveste avuto l’umiltà di chiederci un consiglio, e che se solo ci aveste ascoltato, non avreste finito per sbagliare tutto. In effetti avrebbero fatto bene, Angela Merkel e Mario Monti ad assumerlo come consulente. Per non parlar di Mario Draghi.

Sono 7 dati di fatto e potrebbe essere il titolo di un film.

Primo dato di fatto. Moneta unica? Si sapeva che il progetto si teneva politicamente sul seguente assunto: si sa che questi Paesi del Sud d’Europa hanno delle economie stanche che non intendono riformarsi, la moneta unica è l’occasione per obbligarle a farlo, obbligandole a rinunciare al tasso di cambio come strumento di breve periodo di competizione globale ed affrontando decisamente una volta per tutte i loro problemi strutturali.

Si da il caso che un altro gruppo di Paesi caldi, cattolici, spendaccioni, del Sudamerica – dice Velasco – provarono a fare esercizio di cambi fissi e/o di rinuncia alla sovranità monetaria: fallimenti totali nel giro di un decennio. E perché? Perché non fecero le riforme necessarie. E perché non le fecero? Per un semplice motivo: perché quando fai un accordo di cambio, che appare all’inizio sempre stabile e duraturo, i mercati si precipitano da te, ti riempiono di capitali, gli spread crollano, il credito è abbondante, l’economia tira, e … addio alle riforme, di cui nessuno sente più il bisogno.

Qui mi sento di commentare: assolutamente così, anche se magari l’euro l’abbiamo fatto anche mirando ad una unità politica con ambizioni geopolitiche e valoriali, e non solo per riforme interne. La droga del credito ci ha addormentato tutti, tutti noi che dovevamo migliorarci in questo decennio. E si sono addormentati anche alla Bce, alla Commissione Europea, in Germania, istituzioni e leader che dovevano guidare il cambiamento e perlomeno non permettere una crescita drogata e distratta. Drogata da trucchi con derivati e distratta guardando solo e soltanto a se il deficit pubblico sul Pil di un Paese era del 3,1 o del 3%, fermando la 500 che sull’autostrada va a 90 con un faro rotto mentre non si arrestava il TIR con le gomme lisce a 180 all’ora.

Secondo. Dice Velasco: non è una gran crisi la vostra. In una grande crisi si finisce in una grande recessione a causa della sparizione dei capitali, che scappano, e della conseguente necessità di riportare in equilibrio la spesa ed i conti con l’estero tagliando le importazioni ed i tenori di vita. Non mi pare, dice Velasco, che voi abbiate ridotto drasticamente la vostra spesa, e ciò – tra parentesi – è anche il segno che la Germania e la Bce hanno fatto parte del loro dovere, continuando a prestare al Sud dell’Europa.

Dico io: è vero, Germania e Bce hanno prestato, ritardando in parte l’aggiustamento drastico. Ma attenzione: non in Grecia. E se il modello è quello greco, stia tranquillo Velasco: la crisi seria può ancora arrivare negli altri Paesi. E quanto al fatto che siano stati Germania e Bce a salvarci, i dati dicono una storia leggermente diversa. Per esempio che il contributo italiano alla Grecia ed alla protezione da questa crisi non è stato da meno, anzi. La tabella 1 qui sotto, tratta dal Punto Macro del Servizio Studi di Federcasse, mostra come l’Italia, che aveva una esposizione bancaria bassa verso la Grecia, ha contribuito in termini relativi decisamente maggiori di Francia e Germania al “salvataggio greco”, se così si può chiamare. E così idem per quanto riguarda il contributo al Fondo Salvataggio europeo.

Terzo. Fate attenzione al tasso di cambio reale, dice Velasco. Se un’economia ha un tasso di disoccupazione alto, la sua crescita da anni è bassa o negativa, e continua ad avere problemi di partite correnti ed export, quell’economia è ovvio che ha un problema di competitività dovuta al fatto che il suo cambio reale è sopravvalutato. Il Sudamerica è strapieno di queste storie. E che cosa insegna il Sudamerica? Che è durissimo aggiustare senza svalutare. Nemmeno Pinochet ce la fece, ad aggiustare riducendo gli stipendi, pubblici e privati: svalutò. Sì, i Paesi baltici ce l’hanno fatta, ma perché hanno accanto il mostro dormiente russo, che li getta terrorizzati nelle braccia dell’Occidente a costo di qualsiasi sacrificio. Quindi il triste messaggio di Velasco è: o la Grecia (ed altri) escono dall’euro con una svalutazione, o preparatevi per una lunghissima recessione.

Secono me il discorso non fa una grinza. Con la moderazione salariale non se ne esce rapidamente. Se vogliamo evitare la recessione prolungata senza uscire dall’euro si deve guadagnare tempo mentre si riformano le nostre carenze strutturali. Si guadagna tempo con la crescita europea spinta dalla domanda, del Nord in deficit, del Sud con tagli agli sprechi e senza riduzioni del debito (ma solo del rapporto debito-Pil via Pil).

Quarto. Non si esce quasi mai da una crisi come queste senza aumento del credito all’economia, specie senza far ricorso alla svalutazione. E in Europa non c’è credito perché le banche stanno sedute sui loro soldi senza prestare. Per portarle a prestare?

Quinto: fare l’opposto di quello che fa l’Europa. Smettere di far comprare titoli di Stato alle banche, come sta facendo invece la Bce. E, per farle prestare all’economia, smettetela di ricapitalizzare le banche in questo momento recessivo, altrimenti non prestano, anzi riducono i loro prestiti. Come è avvenuto in Argentina, abbraccio mortale tra banche e governi tramite stupida regolazione.

Commento. I dati del Bollettino Economico della Banca d’Italia parlano chiaro, la crisi del credito in Italia è drammatica. E gli spread non calano strutturalmente chiedendo alle banche di prestare ai Governi. Ma è difficile uscirne. A meno che non si chieda alle banche di prestare, con garanzia dello Stato, alle piccole imprese. Mi direte che è rischioso. Ma abbiamo dato – nel quasi silenzio dei commentatori – questa garanzia alle banche quando prendono a prestito, cosa molto più rischiosa. Perché allora non farlo?

Sesto: non esiste una politica fiscale di austerità che generi una espansione del Pil. Velasco fa riferimento al capo economista del Fondo Monetario Internazionale, Olivier Blanchard, che ha cercato invano di far trovare ai suoi dipendenti evidenza empirica che tagliare la spesa pubblica fa bene all’economia ed al Pil. Non ce l’hanno fatta. “Insane”, follia, dice Velasco. Cosa fare? Austerità sì, ma non adesso, nel futuro, per ripagare l’espansione odierna.

Settimo: come si fa a rendere credibile una espansione fiscale ora, garantendo che tra 5 anni i debiti torneranno indietro con una austerità che a quel punto non farà male? Io ne so qualcosa, dice Velasco, ho avuto lo stesso problema in Cile con i proventi del rame. Bisogna darsi una regola flessibile ma che non sia violata. La regola datasi dall’Europa con il Fiscal compact? Il diavolo sta nei dettagli.

A mio parere è inutile pensare di avere una aggiustamento ciclico del deficit e dire che abbiamo la regola giusta se a questa si associa il … piccolo dettaglio della riduzione del rapporto debito Pil in venti anni al 60%, un suicidio che nessun economista che si rispetti e che abbia a cuore la sopravvivenza dell’euro avrebbe mai ideato.

Il video è dedicato a coloro che credono ancora che esista qualcosa chiamata economia, che non è scienza, ma arte, l’arte sofisticata del possibile, applicata con buon senso per contribuire ad alleviare i problemi economici delle persone. 

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