Recessione: spesa pubblica porta occupazione, ricetta Usa per uscirne

Era naturale che avvenisse, c’era da aspettarselo.

Dopo che una (piccola) schiera di economisti è stata autorevolmente distrutta (teoricamente ma soprattutto empiricamente) nel suo inefficace tentativo di dimostrare che esiste un qualche cosa chiamato “austerità espansiva”, ovvero che dal taglio della spesa pubblica l’economia può tornare a crescere, è soltanto logico che un altro gruppo di economisti si cimentasse con il tentativo di motivare teoricamente quello che i dati ci raccontano da anni, ovverosia che l’economia da queste crisi si riprende solo con aumenti di spesa pubblica.

Lo fanno due pesi massimi della macroeconomia mondiale, Bradford DeLong e Larry Summers, quest’ultimo grande banchiere di successo, potente stratega della politica economica del partito democratico e ministro dell’economia di Bill Clinton.

Cosa dicono?  Dicono che le espansioni di spesa pubblica temporanee, che aumentano il Pil e riducono la disoccupazione e che vengono finanziate con emissione di debito (quindi che creano deficit), in periodi di recessione con bassi tassi d’interesse si autofinanziano.

Notate il “temporanee”: trattasi di aumenti della spesa volti a combattere le recessioni e poi destinati a essere abbandonati. Per “si autofinanziano” intendiamo che, malgrado l’iniziale aumento di spesa pubblica e di debito, il rapporto debito su Pil non cresce grazie all’aumento a breve e lungo periodo del Pil. Quindi crescita, occupazione e stabilità grazie alla spesa pubblica.

Rovesciamo la prospettiva: dicono che riduzioni di deficit in recessione, avranno effetti negativi di breve e lungo periodo su crescita e debito e potrebbero addirittura peggiorare i rating e gli spread per timore di un più probabile default.

Ma, attenzione, sostengono i due economisti, le nostre ricette di maggiore spesa pubblica non valgono in periodi dove l’economia tira, anzi sono dannose. Vale notare che a questi risultati sono giunti anche i valenti ricercatori di Banca d’Italia.

Che ipotesi ci sono dietro questo roseo quadro? Un moltiplicatore della spesa pubblica (di quanto aumenta il Pil dopo un aumento di 1 euro di spesa pubblica) realistico di 1,5, un tasso d’interesse reale sul debito dell’1% compatibile con gli attuali livelli ed una sensibilità di tasse e spesa al ciclo economico pari a quella osservata (circa 0,33). Insomma ipotesi credibili.

Come lo dimostrano? Considerando i quattro effetti della maggiore spesa pubblica sul Pil odierno e futuro:

1. L’aumento immediato del PIL dovuto alla maggiore domanda di beni nell’economia da parte dello Stato.

2. L’importantissima novità di dare peso ad un effetto di lungo periodo, che tiene conto che i danni delle recessioni si trasmettono al futuro per un lungo periodo tramite lo scoraggiamento dei lavoratori che abbandonano per sempre la forza lavoro e tramite i minori investimenti da parte delle imprese. E dunque che l’evitare oggi, grazie alla spesa pubblica, una peggiore crisi genera di per sé maggiore occupazione e ricchezza permanente nel futuro.

3. Vero è che l’espansione di breve di cui parliamo genera anche la necessità di maggiori imposte per tenere costante il rapporto debito-Pil e questo è un costo per l’economia che gli autori comunque tengono in conto.

4. Ma, all’opposto, è anche vero che le maggiori entrate di lungo periodo dovute alla maggiore crescita renderanno possibile una diminuzione delle aliquote fiscali senza far aumentare il livello del debito pubblico sul PIL. E anche questo effetto positivo sul Pil viene tenuto in conto.

Solo un moltiplicatore basso ed un tasso reale alto potrebbero impedire alla spesa pubblica temporanea di portarci al contempo via dalle secche della recessione e a stabilizzare il rapporto debito PIL. Ma il moltiplicatore è alto proprio durante queste recessioni – argomentano gli autori. Ed il tasso reale è veramente basso in questo periodo, tanto più se la Banca centrale evita con politiche accomodanti una deflazione che sinora, per fortuna, non si è vista.

Che implicazioni?

Prima. Sorprendente. Che la spesa pubblica espansiva temporanea ha effetti più nel lungo periodo che non nel breve grazie al fatto che permette oggi di avere più risorse permanenti (giovani, occupati, piccole imprese, capitale fisico) di quelle che avremmo se consentissimo alla recessione assassina di sopravvivere. Una minore crescita di 1% per 2 anni dovuta ad una mancata espansione della spesa pubblica genera perdite che potrebbero arrivare, secondo gli autori, addirittura ad un massimo di 0,31% per anno nel PIL potenziale di lungo periodo dell’economia. Lo stesso effetto negativo avverrebbe per quei disoccupati che non rientreranno più, perché scoraggiati, nella forza lavoro.

Seconda. Paradossale. L’assenza di intervento statale sulla spesa pubblica implica che lo Stato cambia atteggiamento per fronteggiare queste crisi con impatti di lungo periodo. Blanchard, capo economista del Fondo monetario internazionale, già aveva avuto modo di dire che in queste crisi gli Stati “si sentono spinti, il più delle volte tramite il processo politico, a rendere la vita più sopportabile [a chi soffre] …con sussidi alla disoccupazione, benefici, programmi di formazione veri o falsi … e così, rendendo la disoccupazione più sopportabile, alzano il tasso naturale di disoccupazione …”. Impressionante similitudine con le riforme del lavoro del nostro Governo non trovate? Nessuna spinta alla domanda pubblica, protezione per i disoccupati. E dunque, dice Blanchard, maggiore disoccupazione.

Terzo. Fatti, non parole. La recente esperienza del Governo Obama uscito dalle secche della crisi con deficit su Pil mai visti in Europa ha dimostrato che la spesa pubblica durante le recessioni ha un impatto, rapido e che, come ha dimostrato l’annuncio di Obama, può essere ridotta quando non serve più.

Quarto. Sperabile. La politica monetaria deve aiutare e non diventare restrittiva a fronte di una espansione della domanda pubblica. Questo, dicono gli autori, ha fatto Bernanke coordinandosi con l’amministrazione Obama.

Quinto. Casa nostra. Se i tassi d’interesse sono alti, c’è il rischio che i mercati si rivoltino contro o che i vantaggi della maggiore spesa pubblica siano più limitati. Questo vale per Grecia, Italia e company. Come da sempre dico, l’Italia non può scatenarsi in un deficit come quella Usa. L’Italia può tuttavia usare le sue entrate – invece che per uccidere l’economia – per finanziare maggiore spesa pubblica (senza deficit) e può tagliare gli sprechi di spesa pubblica (che domanda di beni all’economia non sono ma trasferimenti dai contribuenti a imprese e funzionari pubblici corrotti). La Germania invece deve fare quello che fanno gli Stati Uniti, spesa pubblica in deficit, per dare il segnale ai mercati che c’è una volontà politica europea, di tutti, di affrontare il problema come fece Kohl quando salvò la Germania dell’Est e rese grande la Germania unita con una immensa spesa pubblica. Facendo questo darà forza anche ai paesi più deboli dell’area euro nel perseguire le giuste politiche economiche.

 

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