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I lavavetri a Roma: dal primo novembre non ci saranno più

di admin |22 Ottobre 2009 22:10

Dunque, a Roma, dal primo novembre, scompariranno i lavavetri ai semafori. Ricordate? I primi furono i polacchi, anche laureati, che, in crisi economica nel loro Paese, cercarono rifugio e lavoro in Italia. Di qualsiasi tipo. Poi, man mano, lo scenario cambiò e i primi “esploratori” trovarono di meglio in Europa. Rammento a proposito un episodio esilarante che vidi con i miei occhi in una delle strade del centro di Napoli. Ad un incrocio, un giovanotto si adoperava per pulire il parabrezza ad un automobilista.

Un suo amico lo riconobbe e gli chiese: «Gennarì, che fai tu qui?» E lui, di rimando: «C’aggia fa, faccio ‘u pulacco!». Ora, come voi, sapete il sindaco Alemanno ha deciso drasticamente: «Niente più gente ai semafori: il traffico rallenta», spiega. Ritengo che l’esempio verrà presto seguito in altre metropoli del nostro Paese. Non voglio entrare nel merito del problema, lo lascio giudicare a chi ha la bontà di leggere questa riflessione. Però, il fenomeno ha nascosto e continua a nascondere questioni assai delicate e complesse che riguardano da vicino la sicurezza. Sostantivo di cui molti si riempiono la bocca, ma solo a parole.

Dove voglio arrivare? Semplicemente a scoprire il coperchio di una pentola che bolle e rischia di avere conseguenze gravissime. Attorno a questo esercito di poveretti (non trovo altro termine) che hanno “conquistato” un posto a Roma (come in Italia) si è creato un vero e proprio racket di malavitosi che approfittano della drammatica situazione in cui versano queste persone per inventare circoli viziosi che sono vere e proprie fucine di danaro. Succede, infatti, che il territorio viene diviso e nelle zone indicate sono spediti gli extracomunitari a lavare vetri, a vendere cianfrusaglie ai semafori, a mendicare, magari con un bambino in braccio che desta grande commozione.

Ebbene, alla fine della giornata, il piccolo guadagno (lo possiamo definire così?) deve essere portato all’ammasso, dove il responsabile del racket provvederà a contarlo, ad accaparrarsene una buona percentuale lasciando una miseria al malcapitato. Prendere o mollare. “Tertium non datur”, direbbero i nostri padri latini. Voi capite quante problematiche suscita questo fenomeno nato con l’arrivo dei comunitari prima e degli extracomunitari dopo. Dianzi, abbiamo parlato, non a caso, di sicurezza, perché tale malevolo evento tende ad espandersi e trova nuovi e continui proseliti.

Primo, perché questa frangia di stranieri non hanno molte possibilità di sopravvivere: secondo, perché la malavita è ben felice di avere a disposizione tante braccia pronte ad essere sfruttate. Anche l’elemosina rientra in questa penosa casistica. Coloro che tendono la mano e ricevono un obolo sono spesso le vittime di una catena di racket che non conosce confini. Anche in tale circostanza ci sono zone buone e meno buone della città dove vengono catapultati uomini, donne e bambini che commuovono la gente pronta ad offrire un euro a fanciulli costretti all’accattonaggio.

Quando la giornata finisce, il ritornello è sempre lo stesso. Nessuno è padrone di quel che ha racimolato. Guai se provi a fare il furbo. Nel migliore dei casi, verrai espulso dall’organizzazione; nel peggiore il “responsabile del misfatto” andrà incontro a rappresaglie severe abbastanza prevedibili. Minacce e botte fino alla sottomissione totale. Ed allora, abbiamo si o no ragione a dire che si tratta di un problema di sicurezza?

Non c’è dubbio. E dunque spetta a chi di dovere trovare il bandolo di questa intricata matassa, restituire alle tante persone vessate la loro condizione di “libertà lavorativa” e mettere innanzitutto le mani su questa catena di montaggio della malavita a tutto vantaggio di una città, Roma, che ha bisogno di vivere tranquilla e serena.

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