Ancora una volta il premierato torna ad infiammare la politica. Come prima, più di prima. La premier lo considera la madre di tutte le riforme; la Schlein, al contrario, ritiene che, con essa, si voglia colpire al cuore la Costituzione. Tra maggioranza e opposizione non si usa il fioretto, ma la spada.
Sorprende l’acquiescienza di Lega e Forza Italia. Questa riforma è mirata contro di loro, più che contro la sinistra che, un domani, in caso di nuovo orientamento dei cittadini, potrebbe a sua volta avvantaggiarsene. Un premier eletto direttamente dal popolo supera il bisogno di coalizione, Salvini e Tajani conterebbero meno di zero, messi in um angolo per cinque anni, senza più possibilità di giochettti, truccherti, spiazzamenti.
Questa riforma deve passare, sostiene la Meloni. Per il bene del Paese. Noi crediamo che non s’ha fare, replica la segretaria del Pd. Non c’è dubbio che il presidente del Consiglio gioca a riguardo molte delle sue carte. Lo ha ribadito appena ha preso possesso di Palazzo Chigi. Ne fa una questione di principio. Ha cercato prima con il dialogo a trovare un accordo con i dem e le altre forze di opposizione. Ha avuto come risposta un no netto e allora adesso con i numeri che le danno ragione in Parlamento continua la sua battaglia.
In ultima analisi, si farà ricorso al referendum. Pericoloso come lo fu per Matteo Renzi. Ma la Meloni è ottimista, si augura che il popolo italiano la segua ancora come alle politiche del 2022. Se non fosse così? Giorgia dovrebbe capire perché, per quale ragione chi è andato al voto le ha dato torto. Conseguenze inevitabili?
Previsioni difficili, inutile fare pronostici. Questo esecutivo è certo che governerà cinque anni, tutto il tempo della legislatura. Ma l’opposizione non le renderà la vita facile e proprio sul premierato pensa che Giorgia trovi la buccia di banana che la faccia scivolare per poi perdere.
Al suo arco, la segretaria dem ha una freccia che potrebbe far molto male. Si chiama Quirinale e chi è contro il premierato ritiene che questa riforma tolga potere al capo dello Stato e porti dritto ad una autocrazia. “Per carità”, sostiene Elly. “Abbiamo già passato tanti guai con Benito Mussolini”. Dal canto suo, Giorgia e la Casellati (prima firmataria dell’iniziativa) non la pensano allo stesso modo. “Non saranno toccati i diritti e i doveri del presidente della Repubblica. Vogliamo solo che il governo abbia maggiore stabilità e che sia il popolo a scegliere chi dovrà sedere a palazzo Chigi”.
Il partito democratico, con i suoi massimi esponenti, accusano la maggioranza di aver voluto riaprire proprio adesso questo delicato problema. Si è alla vigilia della competizione europea, si va alla ricerca di strade che possano portare voti e quindi alla vittoria. In parole semplici, una sfida dove è permesso qualsiasi colpo. Perciò dalla maggiotanza si risponde con uguale cattiveria. “Non parliamo di europee e di aiuti che la sinistra può ricevere. L’ultimo è sotto gli occhi di tutti: la crisi della regione Liguria di cui gli inquirenti si sono ricordati con molti mesi di ritardo”.
Non si esagera quando si scrive che questa sarà la battaglia principale subito dopo il voto per un posto nel Parlamento europeo. Non è escluso che anche prima di quella data fra le forze poltiche ci sarà uno scontro duro. Sono previsti decine di emendamenti: tutto ciò significa una serie di ostacoli che cercheranno di rimandare alle calende greche la discussione finale con il voto (scontato) e infine il referendum.
Gli esponenti del governo trasecolano, non comprendono tutta questa astiosità nei confronti di una riforma che, sostengono loro, renderebbe più solido il governo, solo un bene per il futuro del Paese. Eccola dunque la situazione che si profila. I guai dell’Italia non sono pochi, molti dei quali urgenti. Eppure non si riesce mai a trovare un denominatore comune che possa far crescere il Paese dando al popolo quella tranquillità che merita.