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Il tamburino sardo ritma una marcia di guerra, dalle urne dell’isola verdetto per Meloni e la coalizione di destra

Ve lo ricordate il tamburino Sardo di Cuore, il libro di De Amicis su cui generazioni di italiani hanno imparato a leggere? Finì senza una gamba. Quello che può accadere lunedì 26 al centrodestra se in Sardegna i contendenti si sfracellano, o al centrosinistra se Soru prende molti voti.

La battaglia elettorale esula l’isola, è un test sulla tenuta, soprattutto dei nervi, del centrodestra. La Meloni ha voluto con forza un suo candidato, togliendo il sardo-leghista Solinas. Lui non brillava, ma a detta di tanti nemmeno Truzzu a Cagliari ha fatto sfracelli.

La Meloni in Sardegna si gioca una parte della sua leadership. Se vincono, vince Lei, se perdono, perde lei, con redde rationem nella coalizione dove si aggira Salvini, una belva ferita politicamente. La Meloni con Salvini è ad un bivio, le belve ferite diventano più pericolose, e la Meloni non esclude di sopprimerne la leadership, magari con un accordo con i suoi nemici interni veneti per levargli il potere.

È una mossa rischiosa, ma è una mossa strategica. Il rischio è che se sta ferma la mossa la potrebbe fare il suo avversario, prima che perda ulteriori pezzi. Di fatto sarebbe il cupio dissolvi del centrodestra, nonostante la colla del potere di governo. La Meloni in parlamento ha una forza notevole, ma sempre legata al voto del 2022, in cui prese il 25%.

Se dopo le europee, con Salvini che fa Jocker, con i brutti numeri del PIL e gli inevitabili richiami della nuova commissione a manovre correttive pesanti, facesse una mossa a sorpresa, dimissioni e voto, consoliderebbe il consenso, che finora ha, a percentuali che vanno oltre il 30%, ovviamente sottraendo cifre agli alleati. I quali si ridurrebbero a satelliti come erano il Pri, il Pli o il Psdi.

Ad oggi nessuno ha la forza nel centrodestra allargato che aveva il Psi di Craxi che condizionava politicamente, e non mediaticamente, il partito di maggioranza relativa. Se FdI tentasse la strada del voto e consolidasse un 33/35%, comunque condizionerebbe Mattarella per un reincarico, ed i partiti che non sono nell’asse PD/5stelle, scenderebbero a patti mitigati per costruire un nuovo governo Meloni. La quale però disporrebbe di molta più classe dirigente, soprattutto per le regionali decisive dell’anno prossimo. Il tamburino sardo sta ritmando una marcia, di guerra.

Marco Benedetto

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