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Immigrazione: Italia inanadempiente, stangate in Europa

di Marco Benedetto |5 Maggio 2011 9:46

ROMA – Sempre più accidentato il cammino del governo italiano in materia di politiche dell’immigrazione. Proliferano oramai gli ostacoli giuridici che si frappongono tra i desiderata della maggioranza e gli obblighi internazionali in materia di circolazione degli stranieri in Italia.

Il governo, già in mora per il mancato recepimento della cd direttiva rimpatri (2008/115/ce) riguardante le norme e le procedure applicabili per il rimpatrio di extracomunitari irregolari, termine scaduto il 24.12.10, inciampa stavolta nella sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea di Lussemburgo che evidenzia come una sanzione penale quale quella prevista dalla nostra legislazione compromette la realizzazione dell’obiettivo di instaurare una politica efficace di allontanamento e di rimpatrio nel rispetto dei diritti fondamentali. Ripercorriamo brevemente la vicenda conclusasi con la richiamata sentenza.

Un cittadino extracomunitario, entrato illegalmente in Italia, è stato espulso nel 2010. L’inosservanza dell’obbligo di lasciare il territorio nazionale entro 5 gg, ha comportato a suo carico un procedimento penale conclusosi con la sua condanna ad un anno di reclusione.

Un primo problema, a causa del quale la nostra normativa appariva di dubbia legittimità , si poneva già nel momento in cui lo straniero irregolare lo si diffidava a lasciare il territorio nazionale entro 5 gg per indisponibilità di un mezzo di trasporto nonché per impossibilità di ospitarlo presso un centro di permanenza.

In altri termini, lo si onerava di una condotta difficilmente esigibile per un migrante economico: in 5 gg avrebbe dovuto procurarsi un biglietto aereo, solitamente costoso nel breve termine e lasciare il territorio nazionale, e ciò si badi bene, per una oggettivo limite dell’Amministrazione Statale (l’indisponibilità di un vettore aereo e/o di posti di accoglienza)

Inoltre, nonostante le diverse sentenze della Corte Costituzionale che hanno tentato di mitigare il rigore della norma, l’arresto previsto come obbligatorio dall’art. 14 del TU immigrazione, vincolava poi il Giudice al solo sindacato sulla oggettiva impossibilità per lo straniero a lasciare il territorio nazionale (cd giustificato motivo), che sussistendo, scriminava la rilevanza penale della condotta.

All’esito del giudizio di primo grado quindi, quel cittadino extra comunitario ricorreva in appello e la Corte, investita della questione, chiedeva alla Corte di Giustizia del Lussemburgo se la direttiva del 2008 (ricordiamo, inapplicata in Italia), osti ad una normativa di uno Stato membro UE che prevede l’irrogazione della pena della reclusione al cittadino di un paese terzo il cui soggiorno sia irregolare, per la sola ragione che questi, in violazione di un ordine di lasciare entro un determinato termine il territorio nazionale , vi permane senza un giustificato motivo.

Questo insomma il dubbio della Corte d’Appello di Trento che ha quindi rimesso la questione alla Corte di Giustizia della UE

Con sentenza del 28.4.11 quindi, la Corte del Lussemburgo ha fissato i principi cui i singoli stati devono attenersi, recependo la direttiva gia detta e disapplicando eventuali norme di diritto interno configgenti con la direttiva.

Essi sono in sintesi:

–  la direttiva stabilisce norme e procedure comuni con le quali si intende attuare un’efficace politica di allontanamento e rimpatrio dei cittadini extracomunitari e ciò nel rispetto dei loro diritti fondamentali e della loro dignità. Gli stati membri non possono derogare a tali norme e procedure applicando regole più severe;

–  la direttiva definisce con precisione la procedura da applicare al rimpatrio, accordando in via prioritaria una possibile partenza volontaria in un termine di regola compreso tra i 7 ed i 30 gg;

–  qualora ciò non accadesse, la direttiva impone ad uno stato membro di procedere alla allontanamento coattivo adottando misure non coercitive o comunque le meno possibili coercitive;

–  si procede col trattenimento solo qualora l’allontanamento possa essere compromesso dal comportamento dell’interessato; il trattenimento deve essere il piu breve possibile ed essere riesaminato ad intervalli brevi e la sua durata non puo essere superiore a 18 mesi; gli interessati devono essere collocati in un centro diverso da quello in cui permangono detenuti comuni;

–  la direttiva persegue dunque il fine della minore afflittività possibile nell’ambito di una procedura tesa al rispetto dei diritti fondamentali dei cittadini dei paesi terzi, in sintonia con la Giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’Uomo.

La Corte, nella citata sentenza, rileva inoltre che la direttiva rimpatri non è stata trasposta nel nostro Ordinamento giuridico e pertanto sancisce il principio della piena legittimazione da parte del singolo di invocare contro lo Stato membro inadempiente le disposizioni della direttiva qualora la mancata adozione pregiudichi i propri diritti fondamentali.

Sul punto, nel denunciare chiaramente l’inadeguatezza delle procedure di rimpatrio da parte dell’Italia, conclude affermando che gli Stati membri, non possono introdurre nel loro Ordinamento pene detentive solo perché incapaci di approntare idonee misure coercitive di allontanamento. Tali statuizioni, per gli effetti self – executing che gli sono propri, obbligano alla disapplicazione della normative nazionali contrarie da parte dei Giudici nazionali.

In conclusione, pare proprio che una norma inserita in una Legge quale quella in vigore, che prevede una pena di 4 anni di reclusione per un cittadino straniero che non ha ottemperato all’Ordine di lasciare il territorio nazionale nei 5 gg , contro il quale perlopiù non è stato esperito alcun tentativo di rimpatrio coattivo o di trattenimento, sia una norma assolutamente irragionevole ed indegna dell’Europa che, nei secoli, si è dotata di strumenti giuridici che l’hanno resa un esempio nel resto del mondo.

Lussemburgo impone che l’Italia si attenga a quei principi elaborati ancor una volta esemplarmente dal Consiglio e dal Parlamento Europeo. E’ un richiamo forte, di principi propri di una civiltà giuridica capace di intervenire efficacemente anche su fenomeni moderni, nel solco di una continuità ideale che parte da lontano per arrivare a noi. Sarebbe bene non dimenticarsene.

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