I due marò fermati in India e la pirateria

di Michele Marchesiello
Pubblicato il 20 Febbraio 2012 - 18:46 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Il drammatico – e non poco umiliante – fermo nel Kerala dei due marò italiani, accusati dell’omicidio di due pescatori indiani scambiati per pirati, porta in primo piano la questione ancora irrisolta della lotta efficace a una pirateria che  rende sempre più insidiose, e costose, le rotte tra il Corno d’Africa e l’Oceano Indiano. Questione ancora irrisolta, da parte del nostro Governo, sia per l’ampiezza internazionale del fenomeno , sia per la sostanziale incapacità di adottare misure e tecnologie  in grado di contrastare efficacemente il fenomeno e venire incontro alle esigenze dei nostri armatori.

La ‘nuova’ pirateria ha assunto dimensioni e capacità operative che la avvicinano, per gravità della minaccia e degli effetti sui traffici marittimi, all’altra grande piaga del terrorismo internazionale: né può ignorarsi che tra i due fenomeni esistono rapporti e scambi ancora da chiarire, per la cui repressione non sembra che la comunità internazionale si sia ancora decisa a procedere in modo coerente e unitario ( istituendo, ad esempio, tribunali penali ‘ad hoc’ capaci di giudicare i ‘pirati’ in tempi rapidi , punendone le imprese  con misure severe e generalmente accettate ). Gli Stati interessati hanno sino a oggi preferito intervenire in modo sostanzialmente disorganizzato, ciascuno adottando misure mirate prevalentemente alla salvaguardi della propria ‘bandiera’. Alcuni di questi Stati hanno ottenuti risultati positivi, tanto che alcuni armatori italiani hanno scelto di cambiare bandiera per ottenere una protezione efficace delle loro navi e soprattutto dei loro equipaggi.

L’Italia, dopo lunga esitazione, sembra aver varato ( ancora col governo Berlusconi , ministroLa Russa) una serie di misure basate, oltre che sulla presenza di nostre navi militari  nelle aree a maggior rischio, sulla presenza armata a bordo del naviglio commerciale, su richiesta e a spese degli armatori, dei cosiddetti  NMP, Nuclei Militari di protezione. Istituiti dall’art.5  del d.l. n.107 del 12 luglio 2011, i Nuclei  sono costituiti da fucilieri di marina o incursori, in numero complessivo di 60 divisi in gruppi di 6 militari ciascuno. La loro guarnigione è a Gibuti. I gruppi vengono assegnati alle varie unità mercantili, in base alla richiesta dell’armatore e alla disponibilità operativa. Il loro comandante ha la veste, per le operazioni eventuali, di ufficiale di polizia giudiziaria, e i suoi sottoposti quella di agenti di polizia giudiziaria.

Lo Stato italiano sembra così avere optato decisamente per una delle due soluzioni che aveva davanti a sé, sulla base dell’esperienza internazionale: l’invio di propri militari a bordo, oppure il ricorso a servizi di vigilanza privata ( c.d.’contractor’), servizio per il quale parte dell’armamento italiano aveva dichiarato la propria preferenza  – pur di fronte a un esborso lievemente superiore –  in ragione della maggiore flessibilità e disponibilità del servizio privato ( l’esperienza ha mostrato infatti che il ricorso a forze militari statali comporta numerosi problemi in termini di imbarchi, accordi con i paesi costieri,organizzazione dei turni, regole di ingaggio). Soprattutto, la scelta del ‘contractor’ non espone lo Stato al rischio di vedere propri militari arrestati e processati dalle autorità di un paese straniero: in Italia , per esempio, non si è mai visto arrestare un marine o un pilota americano, anche per crimini ben più gravi di quelli che hanno messo nei guai i due marò.

E’ vero che il decreto legge del 2011 prevede anche la possibilità per l’armatore di ricorrere ai ‘contractor’, ma solo per la protezione di merci e valori, e non per quella delle persone , soprattutto degli equipaggi che – come è noto – costituiscono ormai l’obiettivo più appetito dai pirati in vista dei riscatti che possono essere chiesti. Un testo di legge base unificato, che prevedeva anche per i servizi di vigilanza privata la possibilità di svolgere attività di protezione armata delle persone sulle navi mercantili italiane , è stato definitivamente abbandonato in Parlamento.

Tornando ai due marò, e alle fotografie che li mostrano circondati da poliziotti indiani, salva ogni considerazione sull’accaduto che ci si augura venga al più presto ricostruito dalle autorità del Kerala, ci sono alcune domande alle quali dovrebbero rispondere le nostre autorità.

Chi comandava il gruppo  del Nucleo Militare di Protezione e, in tale veste, avrebbe dovuto dar l’ordine di far fuoco? Esistono, e se no per quale ragione, precise regole di ingaggio alle quali il militare deve attenersi? Sono stati raggiunti accordi preventivi con gli Stati costieri per l’eventualità di episodi ai limiti delle acque territoriali e, soprattutto,  per sottrarre i nostri militari  – penalmente soggetti al Codice Militare Italiano di Pace – alla giurisdizione  concorrente di uno Stato straniero ?

La risposta a queste domande sembra urgente e – soprattutto – sembra urgente procedere a un riesame e a una valutazione più attenta di una questione che tocca interessi vitali del nostro paese: economici, diplomatici, militari e –‘last but not least’ – anche di prestigio nazionale.