Italia oltre Berlusconi. Una riforma da fare: Confindustria

di Carlo Callieri
Pubblicato il 26 Gennaio 2011 - 21:02 OLTRE 6 MESI FA
carlo callieri

Carlo Callieri

Con una lunga intervista al Corriere della Sera del 21 gennaio la Presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, rilancia il tema della riforma di Confindustria, della revisione del sistema di rappresentanza e della contrattazione.

Le tesi che Emma Marcegaglia sostiene coincidono, almeno in parte, con quanto avevo affermato in una intervista a Stefano Cingolani per il Foglio del 15 dicembre, che ha aperto un ampio dibattito sui cambiamenti del sistema delle relazioni industriali in Italia sollecitati dall’approccio di Marchionne con l’accordo ed il referendum a Mirafiori.

Avevo utilizzato tra l’altro, espressioni provocatorie per sostenere la necessità di ricentrare i ruoli delle rappresentanze degli imprenditori e dei lavoratori, sfrondandole dalla “fuffa associativa”.

Alla mia generica indicazione Emma Marcegaglia porta concretezza, promettendo meno passerelle e convegni, più concretezza e realismo per le attività dei Giovani Imprenditori, meno missioni pletoriche all’estero, rafforzamento della rappresentanza sul territorio. Affronta un dibattito che si presenta difficile e intenso, in un panorama italiano ingombro delle macerie delle illusioni che la leadership di governo di un grande imprenditore (impresario?) sarebbe stata salvifica e redentrice per l’Italia statalista, autarchica, egualitarista.

Intendo con questo mio intervento, e con quelli che seguiranno a tappe, offrire un contributo al dibattito che investe complessivamente i temi fondamentali della rappresentanza sindacale del lavoro e dell’impresa, con i relativi scenari, obiettivi, strategie, strutture, strumenti nelle relazioni reciproche ed in quelle con il potere politico.

La contrattazione, va da sé, è uno strumento essenziale della rappresentanza e nel rapporto tra impresa e lavoro. Ma è solo uno strumento, il principale nei rapporti tra le parti, e risente strettamente di scenari, obiettivi, strategie e strutture.

Parto dallo scenario. Piaccia o non piaccia, la globalizzazione è lo scenario in cui operiamo a partire dalla caduta del Muro di Berlino. Il suo progressivo dispiegamento, intensificato dalla portata della rivoluzione digitale e della rete, ci lascia attoniti. Dimentichiamo che, salvo intermezzi generati da fratture antagonistiche, il mondo è vissuto sugli scambi, commerciali e culturali, ciò che sostanzia la globalizzazione.

Il lavoro e l’impresa ne sono protagonisti, gli Stati e le Comunità sovranazionali i regolatori.

La divisione internazionale del lavoro è contemporaneamente premessa e conseguenza di come si distribuisce e si rafforza la capacità di creazione di valore in termini insieme economici e culturali, per creare relazioni di scambio.

L’impresa è la sede in cui si moltiplica e si scambia valore, e il lavoro è l’agente creativo del valore.

L’imprenditore e l’impresa sono cose diverse, cosi come diversi sono impresa e lavoro. Identificare l’imprenditore con l’impresa è comodo e suggestivo, ma arbitrario.

L’imprenditore è colui che conduce l’impresa, sovente è colui che l’ha anche creata e ne è proprietario. Ottimizza i fattori di produzione, presidia i fondamentali incroci di prodotto/mercato, ma non è l’impresa, né l’impresa è il suo piedistallo. Vite separate, una di durata finita, l’altra di durata indefinita, e tasche e patrimoni altrettanto separati.

Le associazioni imprenditoriali sono le rappresentanze delle imprese, non degli imprenditori, che partecipano alla vita associativa in quanto rappresentanti delle imprese. Per dirla più chiaramente, il signor Pirelli, il signor FIAT, il signor Brembo. Meno protagonismo e più concretezza. L’associazione tutela l’interesse delle imprese, associate su base assolutamente volontaria.

L’ambito di associazione va dal generale al settoriale, dal sovranazionale al nazionale, al territoriale.

Partiamo da Confindustria. E’ la Confederazione Generale delle imprese industriali e dei servizi, la testa di un sistema di rappresentanza che si articola su territori (associazioni provinciali e regionali) e settori (federazioni).

Confindustria è una associazione di secondo livello, in cui sono rappresentati (votano) le associazioni e le federazioni, non le imprese, che sono associate invece al primo livello, orizzontale (territorio) e verticale (settore) . Le imprese associate hanno l’obbligo del doppio inquadramento (territorio e settore). Ulteriori raggruppamenti a matrice, riguardano le componenti Piccole Imprese e i Giovani.

La complessità del sistema associativo che ho sinteticamente descritto, con il crescere delle complessità e delle sfide di concorrenza e mercato globali, e di salti tecnologici epocali, ha portato progressivamente le associazioni a ricercare certezze in se stesse, irrigidendosi, burocratizzandosi, organizzandosi per attività e livelli moltiplicati.

Organizzarsi per attività porta inevitabilmente a perdere di vista i fini.

Quali i fini di Confindustria, quali dei diversi livelli associativi e delle componenti? Coincidono con quelli delle imprese?

(1 continua)