Italia: sta affondando? No ristagna. Così sarà se per 10 anni venturi…

di Giuseppe Turani
Pubblicato il 8 Agosto 2014 - 07:17 OLTRE 6 MESI FA
Italia: sta affondando? No ristagna. Così sarà se per 10 anni venturi...

Giuseppe Turani: L’Italia non sta affondando ma ristagna. Così sarà se per 10 anni venturi…

Giuseppe Turani ha pubblicato questo articolo su Uomini & Business, di cui è direttore.

L’Italia sta affondando? Siamo alla fine dell’avventura che aveva fatto di un paese distrutto dalla guerra e quasi interamente contadino la sesta potenza industriale del mondo?

La risposta è un “no” deciso. Qui non sta affondando niente. E anche la decrescita del secondo trimestre (meno 0,2 per cento) non deve essere male interpretata. In realtà non stiamo crollando: semplicemente continuiamo a muoverci intorno alla “zero crescita”. Siamo un paese stagnante e lo siamo da almeno quindici anni. Non è una scoperta del luglio 2014.

Ma l’Italia ha i mezzi per rimettersi in pedi? In teoria sì. C’è sempre la possibilità d riprendersi. In pratica la questione è un po’ più complicata. I nodi importanti sembrano essere due.

Il primo riguarda le dimensioni (e la complessità) del nostro apparato pubblico. Si tratta di capire che il mondo non è più quello di venti anni fa, quando c’era molta più crescita facile. Tutte le imprese del mondo si sono messe al risparmio: hanno venduto le sedi, ad esempio, e si sono messe in affitto, hanno delegato a aziende esterne parte dei lavori che prima facevano in casa, hanno delocalizzato (quando chiamate un call center, quasi sempre risponde qualcuno che sta in Nord Africa o in Albania). Quando chiamate una compagnia aerea per prenotare il vostro volo, probabile che risponda un call center collocato in India. E così via.

Gli Stati, invece, hanno fatto poco o niente per ridurre i loro costi. In particolare non ha fatto niente lo Stato italiano.

Anzi, ha fatto di peggio. Negli anni scorsi una parte della disoccupazione è stata nascosta assumendo giovani nel settore pubblico. Ma adesso non ci sono più i soldi. E la pubblica amministrazione deve fare la sua cura dimagrante.

Solo che la politica (un po’ tutti i partiti e anche i sindacati) non ha il coraggio di procedere. Per cui siamo come un signore che, diventato improvvisamente povero, si ostini a girare in Ferrari, indebitandosi per comperare la benzina e per pagare l’assicurazione.

Fino a quando lo Stato non farà sua la sua cura dimagrante (oggi quasi un milione e mezzo di persone vive di politica, poi ci sono le elefantiache organizzazioni sindacali) non si potranno abbassare le imposte e quindi l’economia non potrà ripartire.

Poi c’è l’altra questione, ancora più complessa: il nostro ingresso nella modernità. Siamo un paese vecchio che si rifiuta di capire che il mondo è cambiato. La nostra pubblica amministrazione, solo per dire una cosa, muove ancora tonnellate di carta. Il nostro sistema scolastico si articola su una folla di università, pochissime delle quali valgono davvero qualcosa e sono utili: in realtà servono solo a distribuire un po’ di posti di lavoro (sempre a carico dello Stato) e a tenere impegnati dei giovani che altrimenti non si saprebbe dove mettere.

Le infrastrutture del paese sono vecchia e inadeguate. Siamo assenti in quasi tutti i settori di avanguardia (informatica, biotecnologie, chimica fine, software, ecc.). Entrare nella modernità non è difficile: bisogna solo lavorare una decina d’anni con continuità e senza sbagli, partendo proprio dalla scuola.

Ma, se non riusciremo a fare queste due cose (dimagrimento dello Stato e salto nella modernità) continueremo a essere un paese che ristagna intorno alla “crescita zero”, e con una disoccupazione media superiore al 10 per cento.