Italia tubo bucato: il 36% dell'acqua disperso. Al Sud il 50 per cento Italia tubo bucato: il 36% dell'acqua disperso. Al Sud il 50 per cento

Italia tubo bucato: il 36% dell’acqua disperso. Al Sud il 50 per cento

La suggestione è facile quanto semplice: l’Italia tutta come sistema socio-politico-economico-amministrativo-culturale assimilabile, ben rappresentata dai suoi acquedotti e condutture. Cioè l’Italia un tubo che perde, un tubo bucato (da decenni) che sparge e disperde e spreca il 36 per cento dell’acqua che trasporta (Al Sud e in alcune zone del Centro la percentuale sale al 50 per cento).

Per i romani (antichi) sarebbe stato impensabile, anzi incivile

I romani, quelli antichi, neanche avrebbero mai concepito la possibilità di avere acquedotti colabrodo, tubi bucati, dispersione massiccia dell’acqua. Per i romani (antichi) era questione di igiene, ingegneria e soprattutto civiltà. Individuavano i romani (antichi) nell’efficienza idrica e nella costruzione e manutenzione della rete idrica un tangibile tasso di civiltà. A loro sarebbe apparso sommamente incompetente tenersi la rete idrica che ci teniamo noi e soprattutto sarebbe apparso come un chiarissimo segno di inciviltà avere una rete idrica da schifo, una cosa da…barbari.

Noi invece…non un euro per l’acqua

Noi invece abbiamo costruito in sistema amministrativo-ideologica il cui succo è: non un euro per l’acqua. Comuni e Regioni evitano, se possono e anche quando non possono, di spendere per la manutenzione della rete idrica. E’ spesa improduttiva di voti e consenso, è spesa che apporta benefici alla lunga, magari quando non sei più sindaco o assessore o governatore. Vuoi mettere con la redditività pop di un reddito di cittadinanza o di un bonus fiscale o para fiscale. Quindi la mano pubblica, con consenso e assenso di popolo, da decenni non spende per acquedotti e simili. E poi l’ideologia: l’acqua risorsa naturale libera per tutti, come l’aria.

Quindi, più che gratuita, senza costo. Perché ogni costo è incongruo al concetto di pubblico bene. Quindi niente impresa, tanto meno profitto, nella gestione dell’acqua. Quindi mano privata che, a meno di non essere foraggiata e incoraggiata e garantita da appalti enormi cui corrispondono cantieri minimi, che dall’investire in acquedotti e condotte si tiene lontana. L’idea dominante e vincente è in fondo quella che l’acqua risalga più o meno da sola, diciamo per dovere civile, su dai rubinetti di casa. Provenendo…dal cielo, no?

Gestione cookie