La riforma del bilancio dello Stato e gli impegni condivisi

Mentre tutti parlano di riforme, ciascuno pensando a una cosa diversa, le riforme dal basso, quelle relative a norme, regolamenti, procedure, proseguono, senza che il grande pubblico, cioè gli elettori, ne sia consapevole.

Blitzquotidiano ha già pubblicato tre articoli sulla riforma del bilancio dello Stato italiano: La riforma della legge di contabilità, prime considerazioni in itinere; Contabilità e bilancio dello Stato: una norma depotenziata; La riforma della struttura del bilancio dello Stato.

Questo è l’ultimo articolo.

La questione del carattere della riforma è stato esplicitamente affrontato nel corso della discussione in Assemblea dalla Camera dei deputati attraverso l’intervento del Presidente della Commissione Bilancio, Giancarlo Giorgetti, “partecipato e condiviso da parte dei gruppi presenti in commissione”.

L’elemento più importante che esprime l’intervento è l’approccio bipartisan, indispensabile per affrontare le questioni di metodo oggetto del provvedimento. Si apre infatti il lungo percorso attuativo, delle numerose deleghe e viene esplicitata l’esigenza di intervenire sui Regolamenti parlamentari, al fine di assumere definitivamente nel processo decisionale “il riferimento [all]’intero comparto delle pubbliche amministrazioni” ed alla “trasformazione dello Stato in senso federalista che, dopo l’approvazione della legge 42 del 2009 in materia di federalismo fiscale, potrà finalmente essere completata”.

Coordinamento della finanza pubblica e rispetto della autonomia di entrata e di spesa costituzionalmente riconosciuta alle regioni e agli enti locali: la tensione che si può determinare tra questi due diversi obiettivi dovrebbe trovare “sintesi e mediazione al più alto livello” nel Parlamento attraverso la leale collaborazione tra i livelli di governo evitando imposizioni di stampo centralistico.

Tale auspicio dovrebbe essere realizzato in Parlamento attraverso la approvazione della decisione di finanza pubblica (il vecchio DPEF), in cui confluiscono e trovano completamento, i due processi distinti del patto di stabilità interno e del patto di convergenza. Con il patto di stabilità, che resta nella regia del ministero della economia e della tecnostruttura Ragioneria generale, vengono chiamati gli enti sub centrali a concorrere al rispetto degli obiettivi programmatici.

Il patto di convergenza è finalizzato invece al conseguimento del livellamento dei costi e dei fabbisogni standard, “nonché degli obiettivi di servizio e dei livelli essenziali delle prestazioni e delle funzioni fondamentali”, ed è coordinato dalla commissione paritetica istituita dalla legge 42 del 2009.

Obiettivi programmatici, formulati in modo tale da tenere conto delle regole di convergenza, che sono state rappresentate e composte nella Decisione di finanza pubblica possono essere oggetto di disciplina normativa nella legge stabilità e un provvedimento collegato può essere attivato per attuare il contenuto del patto di convergenza.

Le procedure parlamentari dovranno rendere possibile la verifica della “sistematicità delle intese attraverso le quali si realizza il coordinamento della finanza pubblica, coinvolgendo tutti i livelli di governo”. Una osservazione che stimola il meccanismo descritto riguarda la diversa morfologia dei due processi che, con approccio semplificatore, vengono entrambi inseriti nel procedimento circolare di finanza pubblica.

Nel patto interno si individua una dimensione congiunturale, di natura quantitativa, consistente nel contributo richiesto al conseguimento dell’obiettivo programmatico della pubblica amministrazione nazionale, che si affianca ad un profilo strutturale di obblighi informativi, sanzioni e premi, da tenere auspicabilmente fuori dalla contrattazione annuale.

Il patto di convergenza è invece un fenomeno di natura interamente strutturale, se si parte dal presupposto che le condizioni strutturali di partenza sono l’aspetto cruciale che impedisce il progressivo avvicinamento dei costi standard. Mentre è forse possibile avviare una ricognizione dei fabbisogni dei principali beni pubblici, ardua appare la determinazione di comuni curve di costo.

A meno che l’intento non sia quello di semplificare applicando medie più o meno ponderate a scapito dei livelli essenziali. Il collegato alla manovra relativo al patto di convergenza va inteso quindi nella sua dimensione ordinamentale, finalizzato cioè al superamento o alla attenuazione degli squilibri tra le aree del paese, con le evidenti criticità emerse in particolare negli ultimi anni.

Sulla questione della scansione decisionale, viene posto il problema di attrezzare sotto il profilo regolamentare il nuovo timing che, se mantiene la distinzione tra discussione macro e misure specifiche, colloca entrambi questi due momenti nella seconda metà dell’anno, per evitare una eccessiva indeterminatezza delle previsioni.

Il rischio è quello del corto circuito, tra 15 settembre (data della presentazione della DFP) e 15 ottobre (data della presentazione del bilancio e della legge di stabilità), con la conseguenza di far travolgere la discussione macro da quella, molto più pervasiva, sulle singole azioni. Si affronta poi la questione della finanziaria snella e del connesso problema dei provvedimenti collegati.

La nuova legge di stabilità era uscita dal Senato troppo snella, praticamente anoressica. La Camera ha migliorato la situazione, prevedendo la copertura della legge, immaginando così implicitamente la possibilità di un suo contenuto eventuale, incomprimibile in un provvedimento annuale così rilevante.

E’ stato inoltre ribadito che, per evitare l’omnibus normativo è necessario definire nei regolamenti parlamentari un percorso certo di approvazione dei provvedimenti collegati. “Lo scarso successo dei disegni di legge collegati alla manovra finanziaria è parso dovuto”, afferma il presidente della commissione bilancio, “da un lato, alla inadeguatezza della disciplina regolamentare che non ha saputo garantire loro delle effettive corsie preferenziali tali da assicurare l’approvazione in tempi certi e, dall’altro, dal loro carattere spesso palesemente non omogeneo, che rendeva obiettivamente problematico il loro esame in tempi contenuti”.

Si tratta di un punto cruciale poiché proprio su questo si è arrestato, all’inizio del decennio, il processo condiviso di razionalizzazione della decisione di bilancio. Ora sembra riprendere, con delle affermazioni molto significative. Si dice infatti che “una manovra finanziaria ordinata e tale da assicurare un positivo apporto del Parlamento non possa che articolarsi in un congruo numero di disegni di legge da assegnare per l’esame alle Commissioni competenti per materia”.

Si affronta il nodo della torsione finanziaria del processo decisionale riequilibrando la ripartizione della materia referente tra commissione bilancio e commissioni di merito. E viene aggiunta una condizione di estremo rilievo, in netta controtendenza con la prassi dell’avvio di legislatura: “i decreti-legge in questo ambito dovrebbero costituire l’eccezione e non la regola”. “Decreti-legge disomogenei da approvare senza possibilità di approfondire i contenuti e sovente a colpi di fiducia” sarebbero in netto contrasto con lo “spirito della riforma”.

Per realizzare questa più equilibrata ripartizione in un quadro di ineludibile rigore finanziario si pone il problema del potenziamento dello scrutinio di copertura e della quantificazione degli oneri la cui latitudine, con modifica regolamentare, deve essere ampliata. La strada è quella giusta e, se sarà attuata saranno introdotti nel sistema robusti elementi di autorisoluzione.

Sulla cruciale questione dei provvedimenti collegati la camera ha introdotto una modifica che peggiora il testo iniziale, spostando la data di presentazione dal 15 novembre al mese di febbraio. La presentazione dei disegni di legge a sessione di bilancio aperta, che risale al 2001, implica la considerazione del loro impatto finanziario negli equilibri di bilancio in fase di definizione.

Diversamente, soprattutto in caso di iniziative legislative importanti, vi sarebbe il problema del reperimento o comunque della riallocazione delle risorse necessarie. Traccia di questa intenzione di spesa potrebbe essere lasciata negli accantonamenti dei fondi speciali, che potrebbero essere opportunamente riorganizzati enucleando una specifica sezione dedicata, che si trasforma in economia di bilancio in caso mancato perfezionamento del provvedimento.

Il mese di febbraio (o di marzo), potrebbe essere invece il termine, da definire nei regolamenti parlamentari, entro cui i provvedimenti collegati alla manovra dovrebbero essere approvati, sulla base del percorso preferenziale e della tipizzazione indicata dai regolamenti.

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