La riforma del processo penale non si vede e i processi…

 

La riforma del processo penale non si vede e i processi...
La riforma del processo penale non si vede e i processi durano troppo perché indagini e primo grado rallentano tutto

Non si ha più notizia delle modifiche al codice di procedura penale proposte dal ministro Andrea Orlando insieme con la riforma dei delitti del Pubblici Ufficiali. Per fortuna, viene quasi da dire. Due gli obiettivi del Governo: rafforzamento delle garanzie difensive e durata ragionevole dei processi; tanto importanti, quanto non raggiunti.

Vediamo un caso esemplare di durata irragionevole, con le modifiche addirittura allungata. Nel nuovo codice, l’udienza preliminare dovrebbe costituire un filtro al dibattimento; per l’innocente, il giudizio pubblico rappresenta uno strazio ed un costo; per lo Stato, un inutile dispendio di energie. Secondo le norme, il Giudice dell’udienza preliminare pronunzia sentenza di non luogo a procedere quando risulta l’innocenza (è una sintesi) dell’imputato, ossia, la prova positiva, ma anche quando “gli elementi acquisiti risultano insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere l’accusa in giudizio”; un canone chiaro, risultato di una modifica che eliminava la parola “evidente”, inserita nella norma originaria; evidente, dunque, che si volesse un giudizio pieno, per limitare il numero dei dibattimenti e, quindi, assicurare una durata ragionevole dei processi.

Sennonchè, la volontà del legislatore (del 1999) non è mai stata apprezzata dai giudici della Corte di Cassazione; per di più, la cosiddetta legge Pecorella ha eliminato l’appello, consentendo il solo ricorso in Cassazione. Chiamati a pronunziarsi in prima battuta, i giudici della Cassazione accolgono spesso le impugnazioni dei Pubblici Ministeri e qualche volta delle parti civili – persone offese, seguendo un principio (del tutto errato, a mio parere) che derivano dalla natura processuale della sentenza di non luogo a procedere.

Ne consegue che il canone normativo è messo nel nulla; fioccano i decreti che dispongono il dibattimento anche quando ci sarebbero i presupposti per la decisione favorevole all’imputato; si consideri che il decreto è scarsamente motivato, la sentenza costa, invece, fatica letteraria al Giudice, spesso non compresa.

Questa la situazione; ci si aspetterebbe un intervento deciso nelle modifiche proposte dal Governo: accade però soltanto per le impugnazioni oggi proponibili da persona offesa e, in un caso, anche parte civile. Il ricorso è eliminato, non si sa quanto in linea con l’art. 111 della Costituzione; invece, per l’impugnazione dei Pubblici Ministeri – il caso più frequente – il meccanismo diventa più complicato e l’effetto di dissuasione per il Giudice propenso alla “innocenza” più pressante.

È reintrodotto, infatti, l’appello, a conclusione del quale è consentito disporre il dibattimento. Nel caso sia ribadita la sentenza – il decreto non è impugnabile – si apre, di nuovo, il giudizio di Cassazione, con margini di intervento piuttosto ampi. È difficile vedere nella modifica proposta dal ministro Orlando rafforzamento delle garanzie difensive e ragionevole durata dei processi.

Perseguire i due scopi sarebbe, invece, semplice; sentenza di non luogo a procedere e di assoluzione hanno effetti diversi: l’assoluzione, passata in giudicato, impedisce un nuovo giudizio; il non luogo a procedere no; a date condizioni, il processo può riprendere.

Tutto sta nel sostituire la parola sentenza con il termine decreto, immutati gli effetti; un decreto che dispone il giudizio ed un altro, più motivato, di non luogo a procedere, come tale non impugnabile; se emergessero nuove prove, il decreto, come oggi la sentenza, verrà rimosso ed il giudizio prosegue.

Valeva la pena di esaminare il caso per dare l’idea dell’imprinting delle modifiche. Non minori complicazioni intervengono in materia di archiviazione. In realtà, l’unico elemento “nuovo” della proposta governativa è la previsione del “patteggiamento allargato”, fino a otto anni di pena, con una riduzione fino alla metà, partendo, dunque, da sedici anni, preceduto da un’autodafè. Sebbene siano molte le esclusioni – non per i reati dei Pubblici Ufficiali, però – l’omicida punito con una pena modesta sarà fonte delle immancabili discussioni.

Nemmeno convincono le modifiche proposte sotto la voce “semplificazione delle impugnazioni”; una su tutte: l’eliminazione del potere di ricorrere in Cassazione conferito personalmente all’imputato. Per esperienza, spesso i ricorsi depositati personalmente sono opera attenta di valenti giovani avvocati, non ancora cassazionisti, così come cassazionisti tromboneggiano nelle aule di Piazza Cavour, come se fossero in Corte d’Assise. Richiedere la firma di un avvocato iscritto all’albo speciale comporta una giustizia di censo. Anche qui non si vede come siano rafforzate le garanzie di difesa.

Da ultimo, la previsione non serve nemmeno ad assicurare una durata  ragionevole del processo; fra tutte le giurisdizioni, la Corte Suprema è, forse, quella senza arretrato; la durata media non supera l’anno, in alcuni casi bastano quindici giorni. L’elaborato ministeriale si conclude con una, apparentemente ambiziosa, delega per la riforma del processo penale. Incredibilmente, si incide, però, soltanto sulle intercettazioni e, di nuovo, sulle impugnazioni (si veda l’art. 25). Quanto alle prime, il tema è soprattutto quello di limitarne la conoscibilità esterna, il che ha forse spinto il Presidente della ANM ad un’ingenerosa dichiarazione, smentita, peraltro, dal fatto che, nonostante reiterati tentativi, le norme non sono state modificate dalle Camere.

Rispetto alle impugnazioni – ben vengano, comunque, riforme meditate – non è certo da queste, nella gran parte dei casi, che deriva la durata irragionevole; il disastro del processo penale sta nelle indagini  e nel giudizio di primo grado; lì occorre un intervento drastico. Le mie modeste idee – Melchiorre Gioia scrive che spesso si ricorre alle parole, in mancanza di idee – sulla riforma le esporrò prossimamente.

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