ROMA – La legge di stabilità è arrivata al bivio. Dopo l’approvazione del Consiglio dei Ministri, l’annuncio delle slides, la faticosa scrittura finale (durata più di una settimana), lo stralcio preliminare delle norme improprie (una fase mai uscita dalla ristretta cerchia degli addetti ai lavori), si sono svolte le audizioni dei soggetti interessati, concluse dalla replica del ministro dell’economia.
Ora parte la fase cruciale. La presentazione degli emendamenti e l’esame di merito da parte della commissione bilancio del Senato, cui quest’anno spetta la prima lettura. Si riuscirà ad andare oltre, sulla base delle normali procedure? Difficile, ormai è prassi, dopo l’esame della commissione bilancio, l’approntamento di un maxi-emendamento e la posizione della questione di fiducia. I cinquantacinque articoli iniziali si trasformeranno così in un unico lungo lenzuolo, dai moltissimi commi (alcuni anni sono stati più di 1.000). E lo stesso si ripeterà alla Camera. Vedremo.
Ciò che si può fare a questo punto, dopo i molti commenti (tra i più autorevoli quelli della Banca d’Italia, della Corte dei conti e dell’Ufficio parlamentare del bilancio) è una valutazione complessiva.
E’ una manovra espansiva, e su questo non ci piove. Basta osservare il quadro tendenziale esposto nella nota di aggiornamento del DEF del 20 novembre: -1,4 nel 2016; 0,0 nel 2017; 0,7 nel 2018 e ben 1,0 di surplus nominale nel 2019. Il quadro programmatico peggiora quest’andamento (-2,2 nel 2016; -1,1 nel 2017 nel 2017; -0,2 nel 2018; surplus di 0,3 nel 2019). In sintesi si tratta di 1 punto di PIL di flessibilità, che il governo ha negoziato autorevolmente con l’Europa e che ragionevolmente, è stato accordato. E’ questo il primo notevole risultato positivo della manovra, che dal 2011,con la riforma della governance della finanza europea, si definisce in strettissima connessione con l’Unione che, com’è noto, non pratica sconti.
Del resto le carte dell’Italia sono abbastanza in regola. Nel 2014 siamo stati su un indebitamento del 3 per cento rispetto alla Francia (4,0), alla Spagna (5,8), a UK (5,7). Anche la virtuosa Finlandia ha registrato 3,2 punti. Abbiamo il debito più alto è vero (il nostro fardello storico), ma dal 2017 comincerà a scendere ed è comunque molto ben gestito. Serviva una manovra espansiva, giacché nella grande crisi finanziaria l’Italia ha lasciato sul terreno circa 10 punti di PIL. E quella approvata dal governo risponde a questa esigenza.
Per giudicare se l’impronta keynesiana è rilevante, non basta ragionare all’ingrosso (con la clausola migranti, il 60 per cento delle misure, ben 17,7 miliardi su 29,6, è coperta con il disavanzo); bisogna analizzare le misure, senza perdersi nei particolari.
Usando il grandangolo si possono inquadrare due grossi blocchi: le misure per la crescita e quelle per l’equità. Nel primo gruppo l’azzeramento delle micidiali clausole di salvaguardia (16,8 miliardi nel 2016), eredità del passato da evitare in ogni modo nel futuro (restano ancora da sminare ingenti importi per il 2017 e il 2018), l’IMU agricola e imbullonati (0,9), l’abbassamento dell’IRES e il piano di edilizia scolastica (3,1 miliardi, connessi alla clausola migranti), gli ammortamenti dei beni strumentali (0,6) e gli sgravi per le assunzioni (0,8 in riduzione), oltre a misure a favore delle start up. Complessivamente 22,4 miliardi, la fetta più sostanziosa.
Sull’equità ci sono misure per il contrasto della povertà (per 1,1 miliardi), la settima salvaguardia per gli esodati, l’opzione donna, un regime di vantaggio fiscale per le partite IVA.
Crescita ed equità sono i fondamentali di una politica di sinistra. E ci sono entrambi.
Veniamo alle coperture. Oltre al maggiore disavanzo, di cui si è detto, sono indicate riduzioni di spesa per 5,8 miliardi. Molto meno dei 10 originari e questo le rende di per se più realistiche; i settori indicati, sanità e consumi intermedi, presentano ampi spazi di razionalizzazione, anche se, ancora una volta, si è agito all’ingrosso, perché non si tratta di una vera spending review; poi altri 3,1 miliardi di ulteriori razionalizzazioni. Nel complesso una riduzione possibile, anche se non facile da realizzare.
Tutto bene quindi? Non proprio. Ci sono, almeno tre criticità, sulle quali si è concentrata la discussione: a) l’eliminazione totale IMU-TASI sulla prima casa (non tanto per un fattore di equità, quanto perché in questo modo si incrina significativamente la possibilità di accountability del policy maker locale); b) l’elevazione del tetto dei contanti (è vero che si riporta l’asticella sulla media europea, ma in Italia l’uso della moneta elettronica in Italia stenta e questa misura disincentiva l’evoluzione del comportamento dei consumatori); le imposte sui giochi e i nuovi giochi, da cui si prevede di incassare 1 ulteriore miliardo (sono odiose imposte regressive che andrebbero evitate; lo Stato dovrebbe disincentivare e non incoraggiare queste pratiche, che impoveriscono i più poveri e non aiutano la crescita).
Detto ciò, una manovra va valutata nel suo complesso, riguardo alla strategia di medio periodo del governo; e, sotto questo profilo, il bene prevale nettamente sul male.