Libia, Onu lancia blocco navale. Frontex sblocca la chiacchiera panico

Libia, Onu lancia blocco navale. Frontex sblocca la chiacchiera panico
LaPresse

Bernardino Leon, l’inviato dell’Onu a cercare una soluzione diplomatica per lo sfascio libico (l’uomo che tratta per le Nazioni Unite con le fazioni/milizie in guerra la impervia possibilità di un governo di unità nazionale) ha detto al Corriere della Sera:

“Sì, sono favorevole ad un blocco navale delle coste della Libia. In questo momento è l’unica cosa che si possa fare concretamente. Ce n’è bisogno”.

Da qualche giorno sono in navigazione verso le acque della Libia le navi di una task flotta della Marina militare italiana, con tanto di reparti di pronto intervento a bordo. E soprattutto con la missione implicita di costituire i primi anelli della catena di un possibile blocco navale appunto. La missione esplicita è quella di proteggere installazioni petrolifere al largo della Libia.

Qualche giorno prima ancora, sulla base di notizie di stampa e di una non certo complessa analisi del possibile e del doveroso da farsi in Libia, per la Libia e per l’Italia e l’Europa anche Blitz nel suo piccolo aveva individuato nel blocco navale una concreta e praticabile operazione per la sicurezza. Blocco navale, cioè blocco del contrabbando di petrolio con cui si finanziano le milizie (quella dell’Isis compresa). Blocco del contrabbando di armi. E blocco o almeno drastica riduzione di gommoni e barconi stipati di umani-merce per mano dei trafficanti di uomini in fuga.

Blocco navale che costerebbe a chi lo dovesse mettere in atto (Italia in prima fila ma non da sola) qualche denaro e qualche rischio (già in un’occasione non meglio precisati scafisti armati hanno sparato contro una motovedetta della Guardia di Costiera). Qualche soldo ma nulla rispetto ai vantaggi anche monetari oltre che civili e umanitari (meno morti in Libia, più garanzie dei nostri rifornimenti energetici, meno migranti affogati in mare e meno migranti sbarcati in Italia). Qualche rischio di conflitti a fuoco, ma nulla di neanche lontanamente assimilabile ad una spedizione militare italiana in Libia, questa sì discretamente avventurosa.

Blocco navale, qualcosa di concreto, fattibile e utile che la voce dell’Onu lancia. Si applica diversamente Frontex. Il suo direttore esecutivo, Fabrice Leggeri, è stato diciamo così…leggero nel contare e parlare. Frontex-Leggeri ha sbloccato la fantasia. “Da mezzo milione a un milione di persone pronte a imbarcarsi verso l’Europa”. Ora questa quantità di persone “pronta” significano materialmente 600 campi di calcio fitti fitti di uomini, donne e bambini stretti stretti ad aspettare l’imbarco, l’uno appoggiato all’altro in uno spazio minimo di tre metri quadri a persona.

Seicento campi profughi ad altissima densità, se ci sono da qualche parte in Libia si vedono, qualunque satellite li vede ma basta molto meno di un satellite per vedere 600 campi. E se c’è tutta quella gente “pronta a imbarcarsi”, devono esserci, aritmetica alla mano, anche circa tremila gommoni alla fonda da qualche parte. Tremila gommoni e seicento campi. Se Frontex li ha visti non dovrebbe avere difficoltà a documentarli e soprattutto possibile che solo Frontex li abbia visti? Tremila gommoni e seicento campi sono un’enormità.

Se invece Frontex-Leggeri non li ha proprio visti ma li ha dedotti, stimati, immaginati, prospettati…allora Frontex-Leggeri sia pure con le migliori intenzioni del mondo ha tolto il blocco, del tutto sbloccato la fantasia, l’immaginazione. E il conseguente panico da invasione. Insomma un blocco navale da fare e un blocco alla chiacchiera da raccomandare.

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