Usa, Il Tea Party cresce: nello Utah ha bloccato la rielezione di un senatore repubblicano

Una manifestazione a Washington di sostenitori del Tea Party

 

Negli Stati Uniti il movimento conservatore Tea Party ha bloccato il tentativo del senatore repubblicano dell’Utah, Bob Bennett, di farsi rieleggere per la quarta volta alle elezioni di medio-termine previste a novembre. 

Alla convenzione del partito repubblicano i suoi due sfidanti, uno dei quali appoggiato dal Tea Party, hanno ricevuto la nomina per vedersela in una primaria il mese prossimo dalla quale uscirà il candidato ufficiale repubblicano alle elezioni di medio termine. 

La sconfitta di Bennett è la prima vittoria del movimento di base che vuole ridurre il ruolo del governo federale e limitare le sue alte spese. Il nome Tea Party è un richiamo allo storico Boston Tea Party del 1773, una protesta dei coloni americani contro il governo britannico, che li tassava senza concedere loro una rappresentanza in parlamento, e che pose le premesse per la Guerra Rivoluzionaria Americana. 

All’inizio il movimento  era stato trattato con ironia, sufficienza e anche un po’ di altezzoso disprezzo da destra e sinistra, fino a quando qualcuno, New York Times incluso, si è accorto che non erano poi tutti scemi, anzi corrispondevano a un quadro demografico, culturale e di reddito medio alto. Mentre quelli chic se ne accorgevano, il Tea Party ha visto crescere il proprio peso politico, al punto che, pochi mesi dopo essere stato snobbato per una manifestazione nazionale mezzo abortita, il movimento si è rivelato in grado di condizionare la scelta di un candidato a senatore. 

In Italia l’unico che lo ha capito finora è stato Berlusconi, anche se le sue promesse di ridurre le tasse  si sono rivelate vane a causa della crisi generale e della situazione specifica italiana. Così, se sull’altare del fiscalismo esasperato la sinistra ci ha perso invece qualche milione di voti, la destra e Berlusconi in particolare hanno perso un bel pezzo di credibilità. 

In America la situazione è ancor più complicata, perché quando Bill Clinton lasciò la Casa Bianca lasciò anche un bilancio federale in buona salute. Furono proprio i tagli alle tasse dei redditi più alti fatti da George Bush e le altissime spese belliche a fare schizzare alle stelle il deficit del bilancio degli Usa. Poi arrivò la crisi, che mise in difficoltà le grandi banche americane, al cui colpevole comportamento nel gioco delle speculazioni incrociate va attribuita una importante responsabilità nell’innesco della recessione. Bush non trovò di meglio che inventarsi un sistema di aiuti per cui le banche e le istituzioni finanziarie private si ritrovarono le casse piene di denaro pubblico a costo zero. 

Proprio per questo Bennett è stato preso di mira dai sostenitori del Tea Party: per l’appoggio dato al Troubled Assets Relief Program (Tarp), il complesso di iniziative finanziarie federali per combattere la recessione e il temuto meltdown delle banche e di Wall street durante la crisi economica. Non tutto quel che sembra di desra, in America, è appoggiato dalla destra: il comune cittadino, anche se conservatore, è comunque in guardia contro le prepotenze del grande capitale, come e più della sinistra. 

I due candidati che si fronteggeranno nella primaria di giugno, l’uomo d’affari Tim Bridgewater, e l’avvocato Mike Lee, sostenuto dal Tea Party, sostengono entrambi che sono più capaci di arginare le spese governative del senatore Bennett.

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