USA: la vittoria di Obama ha del miracoloso, ma i prezzi da pagare sono tanti

Dopo un anno di scontri politici, colpi di scena e intense mediazioni, per il presidente americano si tratta di una straordinaria vittoria politica: ampliare la copertura sanitaria degli americani era la sfida più ambiziosa del suo programma politico e di fatto risulta la più ampia iniziativa di riforma sociale degli ultimi 50 anni negli Stati Uniti (se ne discuteva dalla presidenza di Thedore Roosevelt, 1901-1909).

Ma Obama ha pagato più di un prezzo per far passare la sua riforma: l’abbandono della copertura dell’aborto è  forse il più vistoso.

La pattuglia più numerosa dei “dissidenti” democratici era infatti quella degli antiabortisti, guidati dal deputato Bart Stupak del Michigan. E’ stato decisivo l’intervento di Barack Obama nelle ultimissime ore. Rinviato il suo viaggio in Indonesia, il presidente ha fatto pressione personalmente su ciascuno dei deputati incerti. Agli antiabortisti ha offerto una garanzia speciale: proprio mentre la Camera era riunita per le votazioni, ieri Obama ha firmato un “ordine esecutivo” che rafforza il divieto di usare i fondi federali per rimborsare le spese delle interruzioni di gravidanza. A quel punto Stupak e la pattuglia di antiabortisti sono passati a favore della riforma, garantendo la maggioranza per l’approvazione della legge.

Manca, nella riforma, anche quello che all’origine doveva essere l’aspetto più radicalmente innovativo: la cosiddetta opzione pubblica. Di fronte alle accuse di voler imporre un “socialismo medico di tipo cubano”  –  secondo uno slogan usato dalla destra populista del Tea Party Movement  –  i democratici hanno abbandonato quell’idea, che avrebbe creato un’assicurazione di Stato disponibile a tutti, a costi contenuti, per far concorrenza alle assicurazioni private. In compenso ci sarà una stangata fiscale sulle multinazionali farmaceutiche, per finanziare una parte dei costi della riforma.

Il voto compatto di tutti i repubblicani contro la riforma sancisce la sconfitta di Obama su un terreno: la ricerca di larghe intese bipartisan per fare avanzare le sue riforme. Questo potrebbe danneggiare un presidente che nel novembre 2008 conquistò la Casa Bianca anche grazie ai voti degli indipendenti, l’elettorato fluttuante di centro. Ma la destra è scivolata su posizioni estreme e Obama ha dovuto fare un calcolo diverso: rinunciare a questa riforma avrebbe deluso la base più progressista e militante del partito democratico, spingendola all’astensionismo alle elezioni di novembre.

La vittoria alla Camera ha del miracoloso perché appena due mesi fa la riforma sembrava condannata, quando i democratici persero un’elezione cruciale nel seggio senatoriale del Massachusetts che era stato di Ted Kennedy. Proprio le compagnie assicurative hanno fornito a Obama l’opportunità per riprendere l’iniziativa: il rincaro del 39% delle tariffe imposto dal colosso assicurativo Blue Cross in California un mese fa è diventato il simbolo di un sistema iniquo e perverso. Da quell’episodio è cominciata la riscossa di Obama, che ha accusato i repubblicani di essere al servizio di un capitalismo sanitario che accumula profitti speculando sulle sofferenze dei cittadini.

Quasi tutta la stampa americana esulta per come sono andate le cose, ma alcuni commenti sono piu’ cauti e guardano alle conseguenze politiche del passaggio della riforma. Per il sito polico.com, l’approvazione della riforma è un fatto straordinario, ma – rileva – per i democratici si è trattato di una vittoria ai punti e non di un knockout. I parlamentari democratici, che per mesi hanno dovuto sopportare gli attacchi dei conservatori del Tea Party, contrari alla riforma, dovranno vedersela ora con quegli elettori dei loro distretti che vedono la riforma come funo negli occhi. Essendo ancora alta la percentuale degli americani contrari alla riforma, la resa dei conti avrà luogo alle elezioni di medio termine previste a novembre. ”Molti dei parlamentari che alla fine hanno votato sì – scrive Politico.com – sapevano bene che stavano anche votando per la fine della loro carriera politica”.

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