Berlusconi: “Non mi ricandido”: prima voce del coro di lingue biforcute

Berlusconi e Bossi subito dopo il voto sul rendiconto (Lapresse)

ROMA – Berlusconi non si ricandida se si vota tra tre mesi? Lo ha detto suadente in una conversazione con il direttore de La Stampa, conversazione in cui l’unico acido umore era la rabbia-sconcerto per i “traditori”. Per il resto solo riflessioni da uomo ferito sì ma soprattutto dimesso. Uomo dimesso che però dimissioni da premier non le ha ancora date. E se le dimissioni di Berlusconi sono un assegno post datato una ragione c’è: Berlusconi non vuole elezioni e nemmeno un altro governo.

Berlusconi suadente è immagine costruita e offerta a sera, la sua vera immagine è quella dei minuti successivi al voto alla Camera, l’immagine di un uomo frastornato che non sapeva cosa fare, l’immagine fotografata da Umberto Bossi: “Cosa farà lo deciderà al Quirinale”. Un uomo che si muove a tentoni, un premier che oggi sa volere solo tempo, il tempo che non c’è. E, se saranno elezioni, Berlusconi si ricandiderà, chiamato dal Pdl a guidarlo, Pdl che senza i suoi voti vale la metà. Berlusconi del “non mi ricandido” è solo la strofa principe della canzone che durante la crisi i partiti cantano tutti con lingua più o meno biforcuta.

Non è vero che Berlusconi non si ricandida e non è vero che Bossi vuole elezioni subito. Andare ad elezioni immediate più che anticipate con sul corpo le stimmate degli anni di governo con Berlusconi è per la Lega il peggior “affare”. Perderebbero voti e non vogliono, ne sono terrorizzati. Bossi vuole che governi qualcun altro, meglio Alfano ma perfino Monti. Qualcun altro che consenta alla Lega di defilarsi, sganciarsi. E poi di dire, nel 2013 e non prima, agli elettori: noi non c’entriamo nè con il disastro e neanche con la “macelleria sociale” per riparare al disastro. La secessione è la linea, la bussola leghista, la secessione dal peso della responsabilità di governo. Secessione che ha bisogno di almeno un anno di tempo per maturare e diventare campagna elettorale.

Non è vero che Berlusconi non si ricandida se si va a votare, non è vero che Bossi vuole elezioni subito e non è vero che tutta la sinistra e tutta l’opposizione vuole il governo di Salute Pubblica, insomma il governo di Mario Monti o chi per lui. Non lo vuole Di Pietro che almeno lo dice con sfrontata chiarezza. Non lo vuole Vendola e la sua Sel. Di conseguenza, di rimbalzo e di sponda non lo vuole la “pancia” del Pd di Bersani. La “Foto di Vasto”: Bersani più Vendola più Di Pietro: se si vota di corsa hanno in mano la possibilità di vincere. Di governare davvero probabilmente no, ma di vincere sì. La cosa li attira come un magnete.

Non è vero che sono tutti più o meno d’accordo sulle richieste, ormai quasi disperate, che vengono dall’Europa. Nel provvedimento “Stabilità” diventato bandiera di Berlusconi e del Pdl al momento non c’è nulla, nulla che faccia perdere elezioni e che tiri fuori dal burrone il debito italiano e il credito alle imprese e alle famiglie. Nel programma, programma da intuire perché leggerlo non si può, dell’alleanza Pd-Sel-Idv quel che implora e minaccia l’Europa non c’è. Di far la parte assegnata al “governo Monti” non c’è voglia e cultura nel triangolo Bersani-Di Pietro-Vendola. Cantano più o meno tutti con lingua più o meno biforcuta: in tempi normali e in normali dosi è il linguaggio obbligato della politica. Non c’è scandalo e non ci sarebbe sorpresa. Ma oggi,in tempi di ferro e di fuoco, son tutti sirene che con biforcuta melodia invitano a dar di remo verso gli scogli.

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