Berlusconi “pacificazione”, Grillo “barricate”: padella e brace. E Pd da museo

ROMA – Silvio Berlusconi propone, invoca, reclama la “pacificazione”. E insieme con lui lo fa tutto il suo partito e tutta la vasta compagnia di giornali e televisioni a lui vicini o più francamente suoi e basta. Proposta, invocazione e reclamo che viaggia in sintonia con il rammarico, la disistima e la condanna per tutti coloro che non apprezzano e non si adeguano alla “pacificazione”.

Ma cosa intendono Berlusconi e i suoi, di partito e di opinione, per “pacificazione”. Un esempio chiaro, il più chiaro e netto possibile, lo forniscono direttamente Berlusconi e i vertici del Pdl. Vogliono, esigono, lamentano che non accada. Che cosa? Che la magistratura italiana non si sintonizzi alla pacificazione, non la faccia sua. E che devono fare i magistrati “pacificati”? Come possono in concreto contribuire alla pacificazione? Facile, elementare, lineare e doveroso: devono smettere di emettere sentenze di condanna ai danni di Silvio Berlusconi. E, già che ci sono, anche ai danni dei partiti “pacificati”. Berlusconi, si sa, è generoso e , se è “pace”, non sarà lui a negare che debba essere per tutti.

Questa della “pacificazione” va studiata e compresa in stretta relazione con l’altro must del Berlusconi-pensiero sulla giustizia italiana. Sostiene Berlusconi, sostengono le reti Mediaset, sostengono Libero e Il Giornale e sostengono molti elettori e cittadini che i giudici “fanno politica” e devono smettere di farla. Fare politica è il peccato capitale che Berlusconi imputa alla magistratura “cancro e deviata”. Quando e come si vede che “fanno politica”? Elementare, evidente, lampante: quando istruiscono processi a carico di Berlusconi e soprattutto quando emettono sentenza di condanna. Quindi il grido: “Basta con magistrati che fanno politica e pacifichiamoci”.

Basta politica e pacifichiamoci? Le cose non stanno così, anzi stanno al contrario: la “pacificazione” proposta, voluta, reclamata da Berlusconi avverrà solo se i magistrati tutti, tutti i magistrati d’Italia faranno politica. Se accetteranno l’ordine, la indicazione politica che non si può rifiutare di smettere di fare certi processi ed emettere certe sentenze…Questa è la condizione prima della “pacificazione”: che i magistrati ricevano politico ordine e che vi si attengano. Non la fine, il minimo del “fare politica” da parte dei giudici ma il massimo del “fare politica” da parte della magistratura. La “pacificazione” che Berlusconi propone, invoca e reclama, con mezza Italia a dargli ragione o per lo meno non tutti i torti, altro non è che la magistratura che politicamente obbedisce alla politica. Alla politica che le dice quali processi fare e quali no, quali reati perseguire e quali no.

Senza scomodare l’apocalittico e vintage “hanno fatto un deserto e l’hanno chiamato pace”, questa pacificazione alla berlusconiana è nella migliore delle ipotesi un italianissimo “chi ha avuto ha avuto e chi ha dato ha dato” condito da un patto di non aggressione alla Molotov-Ribbentrop, di quelli troppo astuti per non finire in guerra. Ma basta scherzare: l’idea, il valore, la proposta della “pacificazione” è quella di una società dove i magistrati fanno politica eccome, sono anzi funzionari e dipendenti dalla politica. Se piace, così è e non altrimenti. Può piacere e se piace non si finga però ce sia il suo contrario e cioè la giustizia non politica.

Beppe Grillo ad ogni comizio, performance e show (sempre in azione la trinità al completo tra il Grillo leader politico, il Grillo istrione esuberante e spettacolare e il Grillo comico) rimanda i suoi e il popolo italiano, quello buono, sulle “barricate”. Più precisamente il ragionamento è il seguente: presto, entro la fine dell’anno, Italia Stato finirà i soldi pubblici e Italia politica tornerà in crisi con il suo governo Letta-Alfano. A quel punto il Pd collasserà su se stesso e dei tre ne rimarranno solo due: Berlusconi e Grillo. Quindi, o vince Grillo, “o vinciamo noi o saranno le barricate”.

E’ un’idea anche questa della lotta politica, della storia e della società: “o vinciamo noi o le barricate”. La si può prendere a ridere, con leggerezza. E pensare che è la stessa idea di quello che se sta perdendo la partitella al campetto si rende il pallone e se ne va interrompendo il gioco gridando e rivendicando: il pallone è mio. La si può prendere con pesantezza e rilevare che questa storia del “noi o le barricate” e del “solo popolo giusto è quello mio” è la storia iniziale di tutte le dittature, sia quelle che nascono, sia quelle che abortiscono.

Ancora, la si può prendere con sano realismo e scetticismo: al dunque gli italiani di barricate amano molto parlare ma di andarci sulle barricate non sono storicamente dei fans. Men che mai vien da immaginare Grillo, Casaleggio, la Lombardi, Crimi, Fico e tutti i 163 eletti sulle barricate. E’ gente di casa e di tavolino, di tastiera e mouse e sulle barricate c’è questo ineliminabile inconveniente: ci si fa male. E non in maniera “virale”. La si può prendere con legittima preoccupazione perché la gente di casa e mouse sulle barricate o qualcosa del genere può far venire in mente ad altri di andarci. Un dirigente di Google ha detto: bisogna farsene una ragione, l’un per cento della popolazione non ci sta con la testa. Prima la mamma portava loro i pasti, ora la mamma ha regalato loro anche la banda larga e quindi quell’un per cento viaggia libero e matto sul web. Facciamo cinque per cento e forse più e viaggiano liberi e matti: dal web alla barricata, magari singola e solitaria, il salto è lungo ma non impossibile.

La si può prendere da politologi qualunque cosa questa parola voglia mai dire e sottolineare quindi che questa della barricata fa parte di una architettura precisa e puntuale della comunicazione…La si può prendere come vi pare questa della barricata, anzi del “o vinciamo noi o la barricata”. E metterla a fianco della “pacificazione”. E avere la perfetta raffigurazione dell’antica immagine: la padella e la brace.

C’è altro in giro? Ci potrebbe essere uno che dice: questo governo non pacifica un bel nulla e chi va sulle barricate,se ci va, lo fa scendere con le buone o con le cattive. Uno che dice ora e subito: questo governo fa tre cose, tre cose e basta. Taglia le tasse su lavoro e impresa, elimina i soldi pubblici ai partiti, cambia la legge elettorale. Uno che dice: fatte queste tre cose e comunque entro la primavera del 2014 questo governo ha finito. Uno che dice: si torna a votare nel 2014 insieme alle europee perché Pdl e Pd insieme non possono governare che su poche cose e per poco tempo. Uno che lo dice adesso tutto questo.

Uno, tipo un partito. Ce n’era uno una volta. Ha preso tra febbraio e marzo batoste tremende. Ed ora racconta a se stesso la bugia, pietosa come le bugie del medico, secondo la quale ci vogliono quattro/sei mesi per decidere in maniera democratica. Racconta la bugia pietosa che ad ottobre ci sarà Congresso, che al Congresso sapremo, vedremo. Un partito, ci fosse, avrebbe saputo che qui e oggi era il momento per rispondere alla “pacificazione” e alle “barricate”. Un partito, c’era. Adesso ne stanno facendo museale conservazione e infatti hanno nominato un custode sorvegliante delle imponenti vestigia. Per i prossimi mesi lo si potrà visitare come un parco archeologico. Poi, quando il mondo avrà finito di girare, il Pd deciderà che è l’ora del suo risveglio, congressuale s’intende.

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