Il cammello e la patonza, l’omertà incrociata sul danno Berlusconi

ROMA- Il cammello…Se non lo “vedi…”, allora non vai, non per caso ti chiami Arcuri. La patonza che “deve girare”. “Foraggiata” e ovviamente dopo apparizione del “cammello”. Il danno e la barbarie, il napalm quotidiano del saperlo che lui e loro funzionano così, fanno così, sono così. Saperlo e ripeterlo ogni giorno, ripeterlo e tenerselo lì, sempre lì. Il cammello e la patonza ogni giorno e tenerselo lì: che effetto fa? Tremendo e insondabile effetto: lo sai e lo senti ripetere ogni giorno e lui resta là. Effetto danno, effetto barbarie, effetto napalm. Così, ancora così ogni giorno per quasi altri due anni?

La scena: lui vuole il numero di telefono di una che ha visto, lo vuole fortemente lo vuole. La “una” è all’occasione tal Carolina Marconi ma potrebbe essere un’altra, quel che conta è che sia “una”. L’altro, cioè Gianpi Tarantini, si accorge della “voglia” e si attiva, l’altro è “uno sveglio”. Va dalla “una”, si chiudono in bagno e lei gli comunica il numero di telefono. Ma lo sveglio Tarantini non lo porta a lui, immagina e organizza di meglio. Tarantini va da lui e lo avverte: la “una” ha detto che si può fare, ma non le si può telefonare perché sta sempre insieme al fidanzato. Però Tarantini il contatto lo ha stabilito, può fare da ponte. Basta che lui chiami Tarantini e la cosa si combina. E lui dice a Tarantini: bene, scrivi il tuo numero di telefono “su un pezzetto di carta e dallo alla guardia che è dietro di me”. Tutto avviene in pubblico, durante una pubblica manifestazione. Lui, quello con la voglia che non si tiene è il capo del governo. Lei è una “una”. L’altro è quello che combina ma non fa “girare patonza” senza “vedere cammello”. E’ un’ordinaria scena della vita pubblico-privata di Silvio Berlusconi.

Ogni giorno, lo sappiamo ogni giorno, ogni giorno viene ripetuto che lui è così, fa così. Ed è napalm. Napalm su tutti perché il paese, tutti noi, ci stiamo assuefacendo, piegando ad una sorta di incrociata omertà. La spiega Mattia Feltri su La Stampa: “Sarebbe bello se i giornalisti berlusconiani, quelli che ormai considerano Berlusconi un leader dannoso per il paese, scrivessero che Berlusconi è un leader dannoso per il paese. Sarebbe bello se i giornalisti anti berlusconiani, quelli che considerano una barbarie le migliaia di intercettazioni sul premier e la pubblicazione di dialoghi sguaiati, scrivessero che è una barbarie. Invece se lo dicono a cena…”. Già i giornalisti se lo dicono a cena: che Berlusconi è un danno. Di decenza, di soldi, un danno schifoso e pesante. Se lo dicono a cena anche i giornalisti dei giornali e delle tv “embedded” con il premier. Ed è una barbarie leggere ogni giorno di patonza e di “me ne son fatte otto”. Una barbarie non di privacy violata ma di informazione, costume e pubblico dibattito degradati. Se lo dicono a cena anche i giornalisti che non indossano la divisa del premier. Se lo dicono i giornalisti ma, dopo esserselo detto a cena, scrivono solo la metà di quel che si dicono. E così spargono il napalm di un paese che brucia se stesso.

I giornalisti e non solo, anche il cittadino si sta assuefacendo a questa omertà incrociata. Tutta l’Italia si sta adeguando: un premier così non si può tenere ma, siccome non se ne va, ce lo teniamo. Ma ogni giorno sappiamo, leggiamo, ripetiamo che premier è. Il duplice e sommato effetto ci consuma, corrode, corrompe, degrada. Ci stiamo abituando a vivere con l’odore dello sterco del cammello, a stare avvolti nel lenzuolo sporco della patonza, a sventolarci con la carta della barbarie stampata. Nessun paese tollererebbe di leggere ogni giorno quel che l’Italia legge del suo premier, nessun paese tollererebbe un giorno di più un premier così. L’Italia fa entrambe le cose: si cosparge, si innaffia di napalm e si racconta di essere una salamandra che non brucia, un fachiro che cammina sulle braci. Difficile, molto difficile dire cosa sia davvero viver così, la cosa che somiglia di più alle nostre giornate di “res pubblica” è un rito di suicidio collettivo.

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