Guerre e crisi: ripiove, pianeta ladro! L’Italia sbuffa e si dà malata

Guerre e crisi: ripiove, pianeta ladro! L'Italia sbuffa e si dà malata
Mario Draghi, presidente della Bce (foto Lapresse)

ROMA – C’è una guerra civile in Ucraina, due ore di aereo da Roma. Guerra civile feroce, guerra che inasprisce. E, gemella della guerra civile ucraina, c’è una guerra commerciale tra Europa ed Usa da una parte e Russia dall’altra. Su una colonna si allineano i morti e le devastazioni, si allineano a migliaia. Sulla colonna gemella i danni reciproci alle rispettive economie: si allineano a miliardi, miliardi di dollari ed euro in meno per le aziende che esportano in Russia.

C’è una catena di guerre, un cilicio di sangue che la jihad islamica ha imposto al pianeta. Combattono, sgozzano e macellano in nome dell’unico vero dio e dell’unica vera fede che ogni altra divinità e cultura devono spianare, spazzare via dalla faccia della terra. In Afghanistan, in Pakistan, in Iraq, in Siria, nello Yemen, in Somalia, in Libia, in Mali, in Ciad, in Nigeria…E sono pronti a fare altrettanto in Indonesia, Libano, Giordania, nel Caucaso sminuzzato in francobolli di mini Stati, in Tunisia…

C’è una guerra senza sbocco a Gaza tra Israele ed Hamas e con questa terza ma non ultima guerra dell’elenco è compiuta una trinità di enormi conflitti tutt’intorno all’Europa e tutti a carico del mondo globalizzato. Con tanti uomini a combattere, con tanti luoghi sottoposti alla devastazione bellica i costi non sono solo umani. Ci sono enormi costi e ripercussioni economiche. Non solo là dove si muore ma anche là dove sul pianeta si vive meglio: in Occidente, in Europa, da noi. Le guerre mettono paura alle Borse ma di questo il cittadino comune se ne potrebbe fregare. Non così del pedaggio di risorse che le guerre sottraggono agli investimenti, al profitto, quindi al lavoro, al Welfare…

Mario Draghi chiama tutto questo “difficoltà geopolitiche” e chi deve capire capisce e ha capito che tira aria pesante, pesante da polvere da sparo, per le economie del pianeta.

Poi ci sono dei guasti se non proprio dei guai che con le guerre non c’entrano ma basterebbero di loro a mettere sul grigio le economie. Quella tedesca di economia sta rallentando, non esporta più come prima. Dal lontano Sud America altra notizia di rallentamento, l’Africa è nelle condizioni in cui è, della Russia si è detto, gli Usa van meglio di prima ma non sono certo in condizioni di tirare la carretta del pianeta con un nuovo boom dei consumi come una volta…Venendo a noi, proprio a noi: da qualche mese chi aveva nel mondo capitali da far rendere comprava titoli italiani pubblici e privati. Ha smesso, non ha cominciato a vendere tanto meno a svendere ma ha smesso di comprare.

Ha smesso perché non si fida più o almeno non scommette più su un paese che ha fatto meno riforme della Spagna, del Portogallo, dell’Irlanda, della Grecia. Dalla grande crisi, e anche da prima che i guai italiani c’erano anche prima, delle cose, dei cambiamenti richiesti all’Italia l’Italia ha fatto due cose. Prima: le pensioni a 66 anni. E stiamo tentando in ogni modo di rimangiarcele, comunicando in ogni lingua che se fossimo liberi di fare come ci pare torneremmo indietro. Seconda: la tassa, orrida nei meccanismi ma modesta nell’entità, sulla casa di proprietà. E la stiamo soffrendo come fosse un esproprio o un default. Tutto il resto: liberalizzazioni dei servizi, presentabilità della giustizia civile, dimezzamento della burocrazia, cambio delle leggi sul lavora e della curva fiscale su lavoro e impresa insieme a molte altre cose a cominciare dallo Stato, Regioni e politica da mettere a stretta dieta di soldi…Tutto il resto non l’abbiamo fatto.

E ora comincia a ripiovere: lo spread ripunta quota 200 e quel che è peggio, molto peggio, nessuno italiano o straniero investe davvero in Italia. Se non ci sono investimenti privati non ci sono posti di lavoro. Ma burocrazia, tasse e pedaggi e pizzi da pagare ad ogni corporazione, mica solo quella degli onorevoli e assessori, sconsigliano investire qui da noi. Ma quel che sconsiglia ancor di più, se di un di più ci fosse bisogno, è il clima sociale, la cultura profonda del paese.

Incontri ad ogni passo gente che nella più assoluta buona fede ti giura di pagare più tasse di quanto incassa lavorando, dal taxista all’avvocato al commerciante. E’ un racconto accorato e sinceramente vissuto quanto falso e impossibile. Però è già da tempo ideologia: nessuno può pagare tasse più di quanto incassa e se così fosse smetterebbe l’attività in perdita strutturale. Eppure incontri ad ogni passo normali e bravi cittadini che sono certi di vivere questa condizione di pagatori oltre ogni guadagno.

All’aeroporto di Fiumicino l’otto di Agosto dovrebbe essere una festa, la festa dell’averla scampata bella, molto bella. Uno lavora in una azienda che perde più o meno un milione di euro al giorno dopo averne consumato tra i 5 e 7 miliardi della collettività nell’ultimo lustro. Uno lavora in un’azienda così e quindi dovrebbe sapere che il suo posto di lavoro è una statuina di polvere tenuta insieme dalla saliva. Il suo come quello di tutti gli altri 12 mila come lui. Arriva qualcuno che in Alitalia ci mette i soldi, che promette con qualche credibilità che l’azienda diventerà finalmente una cosa che serve non solo a fare buchi di bilancio e quindi quale dovrebbe essere l’umore, il sentimento di quell’uno che percepiva uno stipendio attaccato con lo sputo alla realtà? Di festa, festa grande. Invece a Fiumicino Alitalia è umor cupo, rabbia, rancore e fiele. Novecento su 12 mila andranno fuori azienda con stipendio pagato per quattro anni all’ottanta per cento e con l’aiuto pubblico a trovarsi un altro lavoro.  Ecco l’oltraggio, la mutilazione.

Mutilazione rispetto a che? Rispetto a posto di lavoro e stipendio garantiti a vita anche se l’azienda è un disastro, non c’è dubbio che sia mutilazione. Ma rispetto alla realtà è un cavarsela alla grande. Eppure a Fiumicino non è giorno di festa. Anzi si sospira di sollievo perché pare rientrata l’operazione certificato medico falso. Certificato medico falso: c’è tutta l’Italia qui dentro. La furbata, la furbata cialtrona, la truffa, il trucco astuto, la complicità, i Don Abbondio, il vittimismo, lo sfascio tutto, il teatro, la sceneggiata e soprattutto a un centimetro dal mio ombelico bruci tutto purché non un solo pelo sulla mia epidermide si torca dal calore.

I Comuni sono riusciti ad evitare la centrale comune degli acquisti, così potranno continuare a spendere a prezzi autonomi, variabili e crescenti. Le Regioni stanno perdendo o rimborsi ai gruppi politici in Consiglio ma conservano il diritto di spesa per usi e destinazioni che spandono euro e ricchezza non producono. Le opposizioni politiche sono tutte dolenti, anzi nella posa del crocefisso sul Golgota, perché sta arrivando, è arrivata niente meno che la dittatura. Senza Senato e senza Province è Pinochet, non lo sapevate?

Di fronte a guerre e crisi che pullulano e infestano il mondo l’italiano sbuffa e impreca al pianeta ladro. E, per organizzarsi, guardarsi e garantirsi dalla realtà che fa l’italiano, che fa l’Italia immobile e renitente ad ogni riforma? Si dà malata.

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