Il lato oscuro degli esodati, non è tutto vittima quel che si lamenta

ROMA – Ho qui davanti ai miei occhi una lettera d’intesa tra un ex dipendente e la sua grande azienda. Anzi, quando l’ha firmata il dipendente non era per nulla ex, lo diventava appunto firmando quella lettera e accettando quell’accordo. E l’azienda era ed è non solo grande ma anche per nulla sul lastrico o in  procinto di chiudere, solo un’azienda come tante cui conveniva alleggerire il numero dei dipendenti e dei relativi costi. Azienda e dipendente si mettono d’accordo come appunto scritto e firmato nella lettera: il dipendente diventa ex non appena matura i diritti per la pensione, al primo appuntamento possibile, senza aspettare i 65 anni di età ma appena ha messo insieme 35 anni di contributi previdenziali. Il dipendente sceglie quindi di andare in pensione appena può, a 58, 59, 60 anni invece che a 65. Sceglie di farlo e rinuncia alla miglior pensione che gli verrebbe pagata se lavorasse fino appunto ai 65 anni. L’azienda è ben contenta: risparmia cinque, sei, sette anni di contributi e di costo del lavoro per quel dipendente. E’ talmente contenta l’azienda che a dipendente che fugge fa ponti d’oro, infatti nella lettera c’è scritto che il dipendente che va in pensione appena può viene premiato dall’azienda con un incentivo pari più o meno a tre anni del suo stipendio.

E’ un libero accordo, nessuno ha costretto nessuno. Libero e conveniente per entrambe le parti. Prova ne sia che se ne fanno molti, ci sono in giro moltissime lettere come queste. Ed è un accordo consapevole, di tutto. Infatti c’è anche scritto nella maggior parte dei casi che “qualora la legislazione previdenziale subisse modifiche, l’azienda non si ritiene responsabile ai fini dell’applicazione della suddetta intesa”. Vuol dire che in quel momento, mentre firmavano, sia il dipendente che stava diventando ex dipendente sia l’azienda sapevano che probabilmente qualcosa sarebbe cambiato nella legge sulle pensioni. Nel 2011 lo sapevano tutti in Italia, talmente lo sapevano che l’eventualità era prevista nelle lettere di intesa tra aziende e aspiranti all’esodo. Esodo che era infatti incentivato in maniera tale, i tre anni di stipendio pagati, da coprire il rischio. Il dipendente che firmava e accettava che se l’età della pensione si allungava l’azienda se ne lavava le mani sapeva quel che faceva e firmava non perché era scemo ma perché aveva fatto i suoi conti e aveva deciso e scommesso che intascando tre anni di stipendio oltre la normale liquidazione, se poi la pensione gli si spostava di un anno comunque era un guadagno.

Addirittura qualche dipendente in via di esodo, i pochi dotati di forte potere contrattuale, facevano scrivere nella lettera altro e diverso comma: “le dimissioni in calce intendonsi nulle qualora la legislazione previdenziale…”. Altri, non pochissimi, si cautelavano e assicuravano dal rischio nuova legge pensioni facendo assumere il figlio o la figlia dall’azienda da cui esodavano.

Quindi non son tutti vittime quelli che si lamentano è c’è, anche se nessuno lo illumina, un lato oscuro degli esodati. A decine di migliaia, molte decine di migliaia, ci sono gli esodati per forza e costretti, quelli che non hanno scelto e non hanno trattato e non si son portati a casa nessuna assicurazione preventiva. Sono quelli delle fabbriche che chiudevano, delle imprese e aziende senza fondi e speranza. Decine di migliaia che hanno davvero perso insieme il salario senza percepire pensione non avendo davvero nulla in mano. Forse sono i 65 mila calcolati dal decreto Fornero, forse di più. Sono quelli che è giusto e sacrosanto siano ora a carico della collettività, sono quelli per cui è giusto e sacrosanto che il governo trovi fondi perché degnamente sopravvivano fino alla data della loro pensione allontanata dalla riforma. Sono tanti, ma non sono tutti.

Cgil, Cisl e Uil e ora anche Pierluigi Bersani a nome del Pd dicono che “tutti” gli esodati vanno a carico della collettività costi quel che costi, anche 5 miliardi. Bersani: “Fosse anche solo uno che manca sarebbe intollerabile”. Tutti gli esodati a carico della collettività, anche quelli che si sono garantiti prima, anche quelli che si sono fatti pagare l’esodo, anche quelli che hanno contato e scontato nell’accordo con l’azienda l’eventuale allungamento della data della pensione? Perché la collettività deve farsi carico di chi ha voluto e firmato un accordo per lui vantaggioso e che tale resta anche se va in pensione un anno o due dopo il previsto? Perché chi si è fatto dare tre anni di stipendio per andarsene in pensione appena poteva deve essere trattato allo stesso modo di chi è rimasto senza neanche un mese di stipendio? Perché questo è un paese dove quando c’è lamento, almeno una volta su due c’è solo millantato disagio.

Millantato disagio, ma dirlo non si può. Gli statali lamentano il “furore ideologico” con cui li si vuol licenziare. Millantato disagio: per i dipendenti pubblici i licenziamenti discriminatori sono illegittimi come quelli dei lavoratori privati, per i dipendenti pubblici i licenziamenti “oggettivi”, cioè per ragioni economiche dell’azienda, sono in teoria previsti e possibili da prima che ci fosse questo governo. Diminuzione del 20% dello stipendio in caso di rifiuto di nuove mansioni e di nuovo utilizzo e poi dopo due anni licenziamento vero e proprio. Ma sono appunto teorici, non se ne ha notizia. L’ultima questione era ed è quella dei licenziamenti per motivi disciplinari: per il dipendente privato si può, entro certi limiti. E per quello pubblico? Non si deve potere. Perché? Sarà il lato oscuro degli statali?

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