M5S: ai parlamentari 5000 al mese lordi. Più 3500 rimborsi, più 3690 spese

M5S: ai parlamentari 5000 al mese lordi. Più 3500 rimborsi
M5S: ai parlamentari 5000 al mese lordi. Più 3500 rimborsi

ROMA – M5S ha portato in Parlamento la sua proposta di legge sugli stipendi dei parlamentari appunto. A firma Roberta Lombardi la legge ufficialmente battezzata da Grillo vuole portare la retribuzione mensile dei parlamentari a 5.000 euro lordi (dodici mensilità). Cui si aggiungerebbero, sempre secondo la legge M5S, 3.500 euro di possibili rimborsi mensili per spese viaggi, soggiorni per coloro, tra i parlamentari, che risiedono fuori Roma. Cui si aggiungerebbero, sempre secondo la legge M5S, 3.690 euro per le spese di mandato e la retribuzione di collaboratori.

Quindi cinquemila lordi più 3.500 netti di rimborso spese più 3.690 di plafond per spese di mandato. Fanno alla grossa 10.500 netti mensili a parlamentare (i cinquemila lordi tassati valgono circa 3.500 netti). Tra i dieci e gli undicimila euro netti a fronte però di una completa tracciabilità dei settemila circa erogati a titolo rimborsi o plafond. Tra i dieci e gli undicimila netti a parlamentare a fronte degli attuali 14/15 mila netti percepiti e sempre più o meno ripartiti sulle tre voci: stipendio vero e proprio, rimborsi, indennità.

Più severa (e più giusta) è la legge M5S sulla previdenza dei parlamentari. In pensione con il calcolo contributivo come capita a tutti (quasi) gli italiani e divieto di percepire la pensione se si ricoprono nel frattempo altri incarichi istituzionali. Insomma la legge cancella lodevolmente il concetto e la pratica del vitalizio e riporta i parlamentari a una normale condizione di pensionati.

Più improbabile e declamatoria invece la riduzione, di fatto il dimezzamento, dello stipendio vero e proprio dei parlamentari. Cinquemila lordi, circa 3.500 euro netti non sono la “giusta” retribuzione per un parlamentare se questi fa il suo lavoro con continuità, seriamente e con competenza. Cinquemila lordi possono essere perfino troppi se il seggio parlamentare è usato come alibi e scudo per non lavorare o peggio. Ma supporre che un ceto dirigente di un paese possa essere retribuito sì e no come un quadro medio aziendale testimonia di una idea punitiva verso la rappresentanza parlamentare in quanto tale. A quali professionisti, competenti, onesti, sì onesti e capaci, può venire in mente di assumersi le rogne e le fatiche della politica per 3.500 scarsi e netti al mese (anzi di meno perché solo 12 mensilità)?

Dire 3.500 al mese ai parlamentari (anche meno) è dire che i parlamentari sono d’istinto e di fatto mangiapane a tradimento e che vanno sottoposti a una sorta di arresto domiciliare della retribuzione. Fissare poi a cinquemila lordi la retribuzione dei membri di un Parlamento attesta e testimonia il pauperismo ideologico di M5S che considera “peccato” ogni retribuzione medio-alta.

Una legge dunque fatta soprattutto per essere sventolata come una bandiera. Cui si risponde sul campo della propaganda con la proposta Pd di pagare i parlamentari a presenza (Renzi: “Di Maio guadagna più di me che non sono parlamentare ma è presente solo il 37 per cento dei lavori parlamentari, gli si dia il 37 per cento dello stipendio”). Anche qui l’idea del parlamentare a cottimo è soprattutto lanciata per far contenta la platea (come mai si misura la produttività di un parlamentare, un tanto a pagina di legge o un tanto a voto espresso?).

Non sembra dunque possibile praticabile (non lo è da decenni) un esame serio e non isterico della retribuzione dei parlamentari italiani. Che è certamente alta, più alta della media degli omologhi europei. Che è certamente riducibile (in misura minima da qualche annoi le indennità sono state ridotte). Ma nessuna riduzione mai potrà saziare la voglia cui l’opinione pubblica è stata allevata e nutrita di ridurre a zero lo stipendio dei parlamentari, anzi ridurre a zero i parlamentari. Ogni discussione seria smette subito di essere tale perché scivola e rovina su questo piano inclinato innaffiato ogni giorno di scivoloso olio dai politici stessi, dai giornali, dalle tv.

Né appaiono possibili e praticabili esami, provvedimenti e ragionamenti seri sullo stipendio dei parlamentari in un paese dove tutti giocano a nascondino con la propria busta paga (busta si fa per dire). L’Italia ha i manager e dirigenti pubblici (migliaia) più pagati d’Europa e del mondo (retribuzioni tranquillamente tra i 150 mila e i 250 mila euro annui). Ed ha i sindaci meno pagati (5/6 mila netti al mese nelle metropoli). E i consiglieri regionali (nove/diecimila netti al mese) più pagati dei presidenti Usa o dei cancellieri tedeschi. E le maestre d’asilo meno pagate. E i funzionari pubblici più pagati. E così via in una giostra in cui chi sta sopra si nasconde e chi sta sotto strilla ma, se arriva lassù, improvvisamente e regolarmente si tace. In una giostra dove il giusto e l’ingiusto sono solo pretesti da lanciare tra le gambe della corporazione concorrente per spezzarle le gambe, farla ruzzolare e farla inquadrare (loro e non noi) dai riflettori della pubblica riprovazione.

 

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