Renzi: 180 euro pompati e fiscal compact sospeso

Matteo Renzi (foto Ansa)
Matteo Renzi (foto Ansa)

ROMA – Il fiscal compact è quel trattato internazionale, dall’Italia accettato e sottoscritto, che impegna i paesi con alto debito pubblico a “rientrare” di quote di quel debito in porzioni ventennali. O almeno, qualora il rientro dall’eccesso di debito pubblico non fosse praticabile nella misura di 20 anni per tornare al 60 per cento del Pil, l’impegno sottoscritto è quello di accennare un rientro. Insomma fare in modo che la percentuale del debito pubblico sul Pil diminuisca anche di pochissimo. Per far questo occorre che il paese in questione garantisca il pareggio di bilancio, in modo da destinare risorse appunto all’abbattimento/limatura del debito. Questo è il fiscal compact, fiscal compact che l’Italia del governo Renzi-Padoan ufficialmente sospende.

Ne sospende l’applicazione a se stessa. Il pareggio di bilancio, già fissato al 2015 e slittato al 2016, viene ulteriormente spostato al 2017. Il debito pubblico viene lasciato a quota 133,4 per cento del Pil. Il deficit viene tenuto al limite del tre per cento, tenuto sul confine dello sforamento. Quindi niente margine di riserva, si spinge la spesa pubblica proprio fin dove si può. E si presenta, Renzi e Padoan presentano all’Europa una legge di stabilità, un programma economico Italia 2015 che prevede circa otto miliardi per confermare lo sgravio fiscale per i lavoratori dipendenti (gli 80 euro), due miliardi per lo sgravio fiscale sul costo lavoro (sgravio per le aziende), circa due miliardi per finanziare i nuovi sussidi di formazione/occupazione per chi perde il lavoro, un miliardo per i Comuni e un miliardo per la scuola.

Fanno circa 15 miliardi finanziati in parte con la minor spesa per interessi sul debito, in parte tutta da definire con minori detrazioni fiscali per alcune fasce di reddito, in molta parte con la scommessa della spending review, cioè con una macchina pubblica che spende meno.

Questa la legge di stabilità del due Renzi-Padoan. Un programma-disegno che proprio poco concede alla cosiddetta “austerità” e che quindi, in un paese consapevole di quel che dice, dovrebbe porre fine nei comizi, nei telegiornali e nelle chiacchiere in tv, sul web e al bar alla critica/lamento sulla “austerità”. Non è più per nulla programma di governo l’austerità. La sospensione dell’applicazione del fiscal compact che l’Italia opera e attua non è certo scelta che farà felice la Bundesbank, la banca centrale tedesca e neanche l’elettore tedesco convinto a torto di star già pagando al posto e per conto degli spendaccioni prima greci e oggi, peggio, francesi e italiani.

Insomma la cosiddetta “flessibilità” Renzi e Padoan, con il sostanziale assenso di Mario Draghi e forse perfino con il tacito e inconfessabile nulla osta di Angela Merkel, se la prendono. E comunicano all’Unione europea di averlo scelto e deciso. Aggiungono che altrimenti non si può, che altrimenti è suicidio, suicidio collettivo. Aggiungono che ben due circostanze eccezionali, come da trattato internazionale, legittimano la sospensione del fiscal compact e tutto il resto. La prima, visibile ormai forse anche agli ipovedenti in economia, è la stagnazione calante del’economia. Pochi investimenti, niente occupazione. Stante questi due dati di fatto, l’austerità è morta e non è il caso di morire con lei. Seconda circostanza eccezionale ed esimente che Renzi e Padoan accampano e invocano: l’Italia sta facendo le benedette “riforme strutturali”. E quindi non è che vada per questo “premiata”, ma le si deve dare il margine di flessibilità appunto per farle quelle riforme senza impiccarsi. Quel margine che fu dato e che con profitto si prese a suo tempo la Germania, quello che si prese la Francia senza però gran profitto.

Qui, su questa seconda circostanza eccezionale ed esimente, l’Italia che sta facendo le riforme di struttura, Renzi e Padoan non è che vendano fumo ma di certo vendono un “campione” della merce, mostrano la stoffa mentre il vestito è ancora tutto o quasi da cucire. Così è per la delega sulla riforma del mercato del lavoro, così è per la delega per rifare i connotati al fisco, così è per la nuova legge elettorale…Così è soprattutto per provvedimenti che consentano, favoriscano almeno, quel che non è nella mani di nessun governo ma senza di cui non c’è né investimento, né occupazione e in fondo neanche welfare e redistribuzione della ricchezza: l’aumento di produttività.

Su tutte queste materie Renzi è irrimediabilmente fanfarone. Ma non solo fanfarone. Deve risolvere un problema irresolubile: come si fa a fare le riforme che cambiano i connotati del paese con il consenso di un paese che non vuole cambiare i suoi connotati? Bisogna produrre consenso. Ed ecco allora i “fanfaronici”180 euro sventolati da Matteo Renzi in tv. Soldi in più ogni mese, soldi in più nella busta paga. Ottanta già ci sono e saranno confermati. A questi Renzi aggiunge altri 100 al mese. Verrebbero dal pagamento, per chi vuole, qui e subito della liquidazione che si matura di anno in anno. Cento euro sono numero ad effetto, in realtà si era parlato di metà liquidazione e quindi sarebbero 50. Cento o 50 euro al mese in più per chi ha stipendi da 1300/1500.

Non è per nulla così semplice come la fa Renzi. Lui pompa quei 180 euro o quel che saranno per ottenere un minimo aumento dei consumi e anche un discreto consenso di opinione. Sono soldi pompati e non sarà facile: vanno giustamente tassati (se li si aggiunge sic et simpliciter allo stipendio il lavoratore ci rimette in aliquote Irpef), va garantita all’azienda che sborsa di non restare senza liquidi, va spiegato e calcolato che sarà pure meglio un uovo oggi che la gallina domani ma insomma se mangi l’uovo liquidazione oggi poi non avrai a fine lavoro la gallina Tfr, magari sotto forma di pensione integrativa. Vanno fatte un sacco di cose non facili e Renzi la fa troppo facile.

Però quanto la fanno difficile tutti quelli…guarda caso tutti quelli che hanno visto e vissuto in un mondo a posto fisso a contratti a tempo indeterminato. I milioni con il contratto a tempo, il 70 per cento circa degli ultimi contratti di lavoro, la liquidazione maturata, il pezzetto di Tfr lo incassano a fine del contratto. E poi ricominciano…Giusto o sbagliato, è già mondo reale, realtà vissuta per milioni di lavoratori giovani.

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