Medici ribelli alla Corte (non tutti). Curano se stessi

di Lucio Fero
Pubblicato il 27 Settembre 2019 - 10:05 OLTRE 6 MESI FA
Medici ribelli alla Corte Costituzionale (non tutti). Curano se stessi

Medici in una foto d’archivio Ansa

ROMA – Medici ribelli, le cronache sono piene delle parole e degli annunci dei medici ribelli alla sentenza della Corte Costituzionale sul fine vita. Che siano ribelli, che intendano esserlo non vi è dubbio, lo dichiarano loro stessi con orgoglio: “Non ci atterremo alla sentenza della Corte”. Parole di Antonio magi presidente dell’Ordine dei Medici di Roma, 44 mila iscritti, l’Ordine più grande d’Europa come precisano i notiziari evidentemente allertati in materia da apposito comunicato stampa.

Un’organizzazione che pubblicamente e programmaticamente “non si attiene alle sentenze” è tecnicamente, politicamente e socialmente ribelle. Chiaro e netto è l’invito alla disobbedienza civile di massa nei confronti della legge. Quindi a tutto titolo medici ribelli.

Tutti i medici? Non proprio. Di certo le loro organizzazioni di categoria e corporazione. Nella realtà del loro operare molti medici sono uomini e donne prima che iscritti ad un ordine professionale. E nella realtà molti medici ogni giorno si muovono al di e al di là del confine che una legge non potrà mai tenere dopo averlo stabilito. Nella realtà molti medici ascoltano il paziente se questi è in grado di intendere e volere, ascoltano i parenti, riflettono, discutono, aiutano. Aiutano anche a morire, nella realtà della vita sono molteplici le sedazioni profonde, molto profonde attraverso le quali si realizza un fine vita chiesto da chi a vivere nel dolore non ce la fa più.

Nella realtà è così ma nella rappresentazione pubblica, nel teatro della vita pubblica le organizzazioni di categoria e corporazione dei medici hanno scelto altrimenti. Fino a minacciare di sanzioni i medici che dovessero ottemperare alla legge. Forse l’Ordine dei medici se ne rende conto, forse no. Ma così hanno stabilito l’intollerabile, il civilmente intollerabile principio per cui la legge di categoria, corporazione o lobby o famiglia vale più, è “prima” rispetto alla legge di Stato e della collettività. Un principio di dissoluzione di ogni convivenza civile, altro che disobbedienza civile. Un principio di arroganza.

Ma perché ribelli i medici? A cosa davvero si ribellano? Perché dicono che mai e poi mai si presteranno ad un’assistenza medica appunto a un fine vita scelto e non illegale? Perché che lo sappiano o no nella loro coscienza, sono medici che curano soprattutto se stessi. Curano e tutelano se stessi, la loro purezza.

Sì, purezza. Il medico che dice anche se il paziente me lo chiede, anche se è legale, anche se non c’ cura io non lo faccio, è un medico che dice al prossimo, al paziente: prima io! Prima la mia anima che deve restare monda da peccati, prima il mio passaporto-salvacondotto per l’altra vita, prima la cura della mia purezza etica.

Purezza perché il medico che cura e si cura soprattutto di se stesso è convinto che il peccato (peccato contro la vita secondo dottrina religiosa) sporchi al contatto. Ne deriva che c’è un paziente che non pecca, cui va la massima assistenza, e un paziente peccatore cui non va la massima assistenza. Altro che giuramento di Ippocrate. Il medico ribelle in nome della fede religiosa dice, proclama e organizza secondo questo valore: io sono prima cattolico che medico, curo prima la mia anima che il tuo corpo.

Di certo non se ne rendono conto i medici ribelli ma la radice culturale della loro ribellione è in fondo la stessa di colui che per tenere pura la sua anima e non inquinare il mondo col peccato e con l’impurità fatta carne vela o sequestra in casa le donne. La radice culturale è: noi siamo i puri, gli altri gli empi che peccano. Non possiamo, non dobbiamo, non vogliamo compromettere la cura della nostra purezza con la cura di qualsiasi legge (o scienza) che ci appaia impura.

Questo c’è dentro e dietro e al fondo e alla sostanza della ribellione dell’Ordine dei medici ad applicare una legge sul fine vita. Questo e, purtroppo, un po’ di demagogia di lobby di cui si poteva fare a meno. Tirare in ballo il valore e l’obbedienza suprema al Codice deontologico che sarebbe Bibbia, Corano e Costituzione insieme della professione…

Il Codice deontologico della professione medica non approva certo il massiccio dirottamento dei pazienti dagli ospedali dove non pagano alle cliniche private dove pagano. A dare l’indicazione e il consiglio non sono vigili urbani o passanti, sono medici. E il Codice Deontologico non approva certo (o sì) le parcelle astronomiche per un’occhiata del “Professore”. E il Codice non prescrive certo parti cesarei (in Italia la percentuale è spropositata e irragionevole) perché fanno comodo all’organizzazione della vita, del lavoro e pure del week end. E non c’è traccia nel Codice di un sacco di altre cose che anche i medici fanno facendo i medici, non tutte commendevoli, proprio no. Perché anche i medici peccano.

Ma quando si tratta di questi peccati nessun Ordine insorge e impugna il Codice. No, proprio no. Quindi, se vogliono, i medici ribelli in nome della religione impugnino il Libro della Fede e non quello della professione. Salvo trovarsi in non perfetto accordo con la pietas cristiana, non quella laica. Ma questo è altro discorso.