ROMA – Attenta Merkel, attenti governanti europei, attenti tutti: per la via soffocante del troppo rigore si arriva al nazismo, al fascismo, al populismo che volentieri si vende la democrazia in cambio di meno tasse da pagare. Perciò siete, siamo tutti avvertiti: il rigore finanziario e di bilancio è la culla della rivolta popolare, rivolta che prima parte con fattezze e sembianze rivoluzionarie e di sinistra e poi rapidamente vira verso l’autoritarismo della ultra destra. Non la vedete Alba Dorata in Grecia che organizza pogrom, è già squadrismo e ha già l’otto per cento dei voti alle elezioni? Non la vedere la crescita dei partiti xenofobi e anti Europa nel nord del continente, in Olanda, Svezia, Finlandia e anche in Gran Bretagna? Non la vedete l’avanzata del Font National in Francia? State attenti, allentate il rigore, non stringete troppo e ancora, altrimenti viene il fascismo, anzi ritorna: non quello che fu ma qualcosa che avrà sì connotati diversi ma lo stesso dna politico e sociale. Sono in molti a mettere in guardia: non vedete le analogie, la storia che certo non si ripete tal quale ma che qualcosa indubbiamente insegna? Bene, la storia insegna, dicono e ricordano in tanti, che il rigore finanziario si mangiò in Europa la democrazia e aprì la strada a Mussolini e Hitler.
Ma davvero la storia insegna questo e soltanto questo? Certo, negli anni, nei primi anni successivi al primo dopoguerra soprattutto in Germania è l’economia che si mangia la democrazia. Ma la sindrome di Weimar che uccide l’omonima Repubblica è indotta dalle spropositate sanzioni economiche imposte dai vincitori con i trattati di Versailles: la Germania è costretta a pagar troppo in risarcimenti di guerra. Rigore finanziario? Non vi è allora un Welfare da tagliare e nemmeno uno Stato centrale che alimenti enormi quantità di spesa pubblica. Niente di tutto questo in Germania e neanche in Italia. Le rispettive democrazie vengono corrose ed erose non tanto dal rigore finanziario quanto da una somma di cause tra cui quella più specificamente economica è la scarsa produttività e la pessima e iniqua redistribuzione della ricchezza prodotta.Non è quindo del tutto vero, anzi non è vero per nulla che nella storia del secolo scorso vi sia un rapporto causa-effetto tra rigore cieco e malore o morte della democrazia.
C’è invece un’altra costante: fascismo e nazismo quando prendono il potere e si fanno Stato vivono e fino a che possono prosperano di debito pubblico. Nel 1926 l’Italia di Mussolini forzosamente “converte” i Buoni del Tesoro in titoli del Littorio. Chi li aveva in mano in sei mesi perse il 25 per cento del loro valore e così il regime cancellò il 25% del suo debito pubblico. Più radicale la politica economica tedesca sotto Hitler: era vietato rendere pubblici i dati del debito e del bilancio pubblico. Vietato perché il debito cresceva a dismisura dovendo il regime finanziare sia il riarmo che il consenso popolare. Si ottennero ottimi risultati in entrambi i comparti: la Germania si riarmò come nessun altro al mondo e il nazismo vide la partecipazione entusiasta della stragrande maggioranza della popolazione. Arrivarono i cannoni e, fino a una certa data, anche il burro. Il sogno di ogni politico, di ogni governo. Ma cannoni e burro erano finanziati a debito al punto che fuori dalla Germania hitleriana il marco tedesco era carta straccia, nessuno lo voleva in pagamento, nessuno si fidava della moneta di un paese straindebitato (ricorda qualcosa..?). Per alimentare il sistema la Germania di Hitler non aveva che un modo: il saccheggio dei paesi che metteva sotto il suo controllo. A Vienna, a Praga, ad Oslo, a Varsavia e poi ovunque, Parigi compresa, al primo giorno di occupazione arrivava un kommando finanziario che saccheggiava valuta pregiata e depositi in oro. Poi toccava ovviamente alle risorse del paese occupato, ma la prima azione di kommando era impadronirsi di quel che consentiva di continuare a spendere, per i cannoni e anche per il burro. E questo anche prima della guerra, dal 34/35 al 38/39 la spesa pubblica tedesca si allarga e il debito si stragonfia. I tedeschi non lo sanno e comunque sono indifferenti, sono orgogliosi dei cannoni e soddisfatti del burro. Quindi Heil Hitler e la sua spesa. La storia, quella del secolo scorso, sia pure in miniatura insegna che spesa e debito non fanno necessariamente rima con democrazia, Roosevelt e New Deal, sono anche corpo e anima del nazi fascismo e soprattutto del consenso che raccolgono e della politica di espansione bellica.
E la storia di questo secolo? Non è ancora scritta ovviamente. Ma qualcosa dal passato sappiamo per orientarci nell’immediato futuro. Esistono cinque modi al mondo e nella storia per uscire da un debito pubblico come quelli italiano (84 miliardi di interessi da pagare all’anno per circa duemila miliardi di debito complessivo a un tasso medio del 4 per cento, dal che plasticamente si evince che alla lunga, anzi alla media tassi del 6 per cento non li possiamo reggere). Il primo è quello di non pagare i debiti, maggior sponsor in Italia è Beppe Grillo ma la Federazione della Sinistra non disdegna e gli “indignati” di ogni tendenza apertamente lo rivendicano. Non si paga e pace. Pace? Dipende. Se non si pagano debiti per duemila miliardi nel mondo si fa male un sacco di gente e bisogna essere molto forti e cattivi per far male a un sacco di gente. Bisogna essere fortissimi per non pagare, altrimenti i non pagati dal giorno dopo ti fanno letteralmente morire di fame. L’Italia ha la forza di dire al mondo non ti pago, oppure il giorno dopo una simile dichiarazione verrebbe affamata?
Un secondo modo è quello a suo tempo usato da Mussolini: hai un credito con lo Stato e lo Stato ha un debito con te? Bene: debito e credito erano 100 e adesso “forzosamente” sono 70. Si risparmia 30 del debito, ottimo affare. Peccato che il giorno dopo nessuno ti presta più una lira neanche bucata, l’Italia di Mussolini restò dieci anni fuori dai mercati.
Terzo modo, parente stretto del secondo: nessuno compra più i titoli di debito dello Stato perché non si fida o per “fidarsi” vuole interessi altissimi. E allora lo Stato obbliga chi non può sottrarsi a comprarli per forza : una parte del salario e del reddito viene “convertito” in Buoni del Tesoro. Ora li prendi a forza come soldi, al posto dei soldi, domani ridiventeranno soldi, domani però.
Il quarto modo è forse il più classico, si chiama inflazione. Sono debitore di 100, ma con un’inflazione al 10 per cento quel cento vale 90 e quindi io debitore di 90 in valore reale. Ci rimettono i pensionati che pian piano impoveriscono e quelli a reddito fisso. Ci guadagnano gli altri. E’, più o meno, quello che molti chiedono, senza molto sapere quello che chiedono, con il ritorno alla lira: diciamo un 20% di inflazione all’anno per almeno cinque anni?
Quinto e ultimo modo: togliere cento miliardi all’anno per sei, sette anni ai 3.800 miliardi di patrimonio del 10 per cento delle famiglie più ricche. E’ la via fiscale ma in Italia è impraticabile perché è assolutamente improbabile che il fisco colpirebbe davvero quel dieci per cento. E perché la vasta destra italiana, Grillo compreso, farebbe la rivoluzione.
Poi ci sarebbero anche il modo sesto e settimo: ad esempio spendere 100 miliardi all’anno di meno di spesa pubblica che si può o vendere 300 miliardi di patrimonio e aziende pubbliche. Me se azzardi a fare l’una o l’altra, peggio se entrambe, la vasta sinistra italiana, Grillo compreso, fa la rivoluzione.
Quindi? Quindi dobbiamo tenerci un bel po’ di rigore finanziario ma non troppo, altrimenti finisce male. E dobbiamo tenerci un bel po’ di debito e spesa, altrimenti finisce malissimo. Di una cosa possiamo liberarci, dell’idea che i conti in ordine fanno male alla democrazia, che l’unica democrazia possibile sia quella della spesa. Di spesa e di debito anche campato alla grande, con grandissimo successo di pubblico, il fascismo e il nazismo. Ricordarsi anche questo quando si osservano pensosi e benevoli i cortei per la spesa e pensarci almeno un attimo prima di accodarsi e intrupparsi con chiunque per la spesa sfila e la spesa invoca e quindi proclama, non a caso: “Il debito? Me ne frego!”