Se per miracolo la crisi sparisse… Italia resterebbe zoppa e storta

ROMA – Finalmente un venerdì di quiete, con gli spread appena smagriti ma almeno non più gonfiati e insieme a loro i tassi di interesse sul debito almeno per un giorno non ancora più obesi del giorno precedente. Una quiete, una tregua che non arriva gratis. E’ la conseguenza della scelta comunicata da Mario Draghi: la Bce è pronta fin da lunedì, ma qualcuno sussurra anche nel week-end, a bagnare di denaro liquido chiunque ne avesse bisogno: banche, governi, Stati, monete. La Bce, e qualcuno sussurra ancora, non da sola la Bce. Anche le altre banche centrali, quella americana, quella inglese e quelle orientali affiancheranno se necessario la Bce nell’opera di innaffiamento. I mercati credono ai sussurri nel venerdì di quiete, credono che le Banche Centrali siano pronte, anzi già all’opera, per impedire che chiunque si trovi senza liquidi si rompa l’osso del collo. Fosse anche perché inciampa di brutto sulla Grecia e sul risultato delle sue elezioni. Fosse anche la Grecia stessa che domenica vota.

Ad Atene un sondaggio dice che vince Syriza, cioè la sinistra anti euro. Ma poi ad Atene ti dicono che anti euro la sinistra non è per nulla, che lo grida in campagna elettorale, che poi se vince non vuole mollare l’euro e l’Europa ma solo provare a trattare uno “sconto”. Un altro sondaggio dice che vince Nuova Democrazia, insomma la destra più o meno moderata, quella che è pro euro. Ma poi ad Atene ti dicono che la destra moderata se vince andrà in Europa a trattare uno “sconto”. I saggi, veri o presunti tali, ti insinuano che se non è zuppa è pan bagnato. Come che sia la Bce ha già in mano la pezza per asciugare qualunque tazza si rovesciasse, quindi venerdì di quiete e mercati che comprano niente meno che titoli e azioni delle banche, venerdì di pace e bene, lunedì sarà un altro giorno o forse un altro mondo o forse il finimondo o forse…

Lunedì dopo il voto dei greci sarà un altro giorno, ma facciamo che questo venerdì di quiete sia eterno, che non finisca mai e sempre di più si confermi e si allarghi. Facciamo che gli spread arretrano, che i mercati e non solo le anche tornano a comprare il debito italiano e spagnolo e francese, facciamo che gli interessi sul debito decennale calano da quota sei e passa per cento a quota 3 e passa per cento. Facciamo che la Bce vigili e compri, che la Germania e la Merkel garantiscano, che l’Europa emetta titoli di debito appunto europei e non nazionali. Facciamo pure che il miracolo raddoppi, facciamo insomma che partiti, sindacati e Confindustrie non partano all’assalto della diligenza prosciugando pure i pozzi tedeschi, che non sono senza fondo, e anche quelli europei e anche quelli della fiducia, del sostegno, della messa in comune dei debiti e della sovranità economica. Facciamo che tutto vada nel migliore, anzi nel più miracoloso, dei modi. Fatto e miracolato tutto questo, l’Italia resterebbe zoppa e storta.

Con il debito pubblico che l’Italia ha, anche se una parte in eurobond, anche se una parte garantisce pure Germania, anche se non saranno più spread e tassi a farlo lievitare come schiuma nella vasca da bagno, l’Italia resterebbe zoppa. Perché quel debito andrebbe per forza, anche se in Europa regna e trionfa il miracolo, pian piano ridotto e riassorbito. In soldoni: Pil a più 1/2 per cento all’anno (di meno è tragedia, di più è difficile sperare) e avanzo primario, cioè netto in tasca tra entrate e spese pubbliche al netto della spesa per interessi sul debito del 3/4 per cento annuo. Ancor più in soldoni: anche se in Europa si avverasse il miracolo della mortificazione dello spread, per rientrare entro limiti fisiologici del suo abnorme debito l’Italia dovrebbe tenersi le tasse che ha per i prossimi trenta anni. Quindi Italia zoppa anche se c’è il miracolo, zoppa perché con queste tasse per trenta anni se cammini zoppo vuol dire che sei vispo atleta.

Zoppa e anche storta, anzi zoppa perché storta. Debito così e tasse così l’Italia anche in una Europa miracolata non li può tenere. Allora? Allora dovrebbe cambiare la spesa. Non solo tagliarla. Cambiarle i connotati istituzionali. Cambiare chi ha il potere e la firma di spesa e ad alcuni di questi soggetti togliere entrambi. Cambiare i poteri e il funzionamento degli enti locali, di Regioni e Comuni. Cambiare la loro ragion d’essere che oggi è soprattutto spendere. Cambiare in contemporanea la testa della gente che così li pensa e in fondo anche li vuole: centri di spesa. Cambiare la Costituzione formale e materiale che in Italia offre allo Stato e alle sue articolazioni una sola legittimazione riconosciuta: spargere soldi. Per questo l’Italia è storta, economicamente e socialmente storta, perché la forma della sua spesa pubblica ne deforma spina dorsale e arti superiori e inferiori. Con questa stortura si va zoppi e infatti l’Italia storta andava zoppa anche prima della crisi finanziaria. Se non si opera su queste deformità, non cìè Lourdes europea che possa fare il miracolo. Anzi se l’Europa fa il miracolo e l’Italia si tiene cari e accarezzati i suoi connotati, perfino il miracolo potrebbe guardarci con interesse, poi con compassione e poi passare oltre.

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