Ossessione par condicio elezioni in tv: a ogni giornalista il suo contrario

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Ossessione par condicio elezioni in tv: a ogni giornalista il suo contrario

ROMA – Ossessione par condicio, ci sono le elezioni e la tv e i suoi controllori vanno in controllato panico. Il regolamento per la par condicio varato dalla AgCom secondo quanto riferisce Paolo Conti sul Corriere della Sera porta all’articolo 1 la ovvia e doverosa richiesta a chi fa e dirige trasmissioni di informazione politica. E la richiesta è di imparzialità. Una richiesta che è anche una condizione basilare. Giusta e buona cosa che l’informazione, i format di informazione che ospitano elementi di campagna elettorale siano imparziali.

Ma l’articolo 2 del suddetto regolamento contiene un invito-disposizione in cui si vede come chi l’ha redatto ritenga impossibile l’imparzialità. Chi ha scritto il regolamento non lo sa, ma l’idea di giornalismo e informazione adottata è proprio quella che esclude imparzialità. La esclude perché non la contempla nelle funzioni e nel mansionario stesso del giornalista.

Secondo chi ha steso quel regolamento (e in fondo secondo la stessa “filosofia” della par condicio) un giornalista non può mai essere fonte di notizie, ma solo tramite di una tesi. Secondo chi ha steso quel regolamento (e anche secondo diffusa realtà del giornalismo) un giornalista non può mai sapere niente di suo magari dopo averlo verificato come reale. Un giornalista può solo riportare parole altrui, far da ventriloquo di ciò che non sa o di cui sa poco (ne sappia o no è in fondo indifferente).

Secondo chi ha steso quel regolamento un giornalista è un taccuino o un registratore o uno smartphone vivente se è un cronista, oppure, se è una firma o un volto noto, un giornalista non può che essere il portatore di una tesi. E’ assolutamente escluso, ontologicamente escluso, escluso a priori da chi ha steso quel regolamento-ragionamento che un giornalista possa conoscere e riferire, riportare e far conoscere una realtà, un dato di fatto di cui lui è garante. A prescindere dalle sue opinioni secondo chi ha steso quel regolamento-ragionamento un giornalista non esiste.

Quindi, se dice, se parla in tv in trasmissione-format durante campagna elettorale il giornalista…devono essere due. Lui o lei e il suo contrario. Perché, sempre secondo regolamento, un giornalista non può dire che siano 60 milioni di abitanti o che gli sbarchi di migranti sono diminuiti di un terzo o che il Pil 2017 sarà più 1,5 per cento senza che queste non siano “opinioni” cui contrapporre altra e diversa “opinione”. Ne va del “pluralismo e contraddittorio”. Per capirci, è come se durante il campionato di calcio un’autorità di controllo invitasse-imponesse a quello che legge la tabella della classifica di avere a fianco un altro. Lui, il primo giornalista, dice: Napoli in testa questa giornata. E a fianco l’altro giornalista, in nome e per conto del pluralismo e doveroso contraddittorio, dice: ma dura poco, adesso arriva la Juventus e, non fosse stato per il braccio in area non visto di Mertens…

Questa folle e ossessionata idea per cui nulla di fattuale ed oggettivo esiste e della realtà men che mai devono occuparsi i giornalisti, ma solo delle diverse versioni e narrazioni deve occuparsi l’informazione è al fondo dell’idea stessa della par condicio. O meglio della mutazione mostruoso di quella già incerta e sgorbia creatura che fu la par condicio all’inizio. Par condicio nacque e non fu un bel parto per far avere ai partiti in gara elettorale più o meno lo stesso tempo e spazio a disposizione. Tempo e spazio più o meno pari. Punto, fine. Doveva finire qui. Nasceva perché Berlusconi aveva tre reti tv e se le dedicava tutte a se stesso e alleati…Nasceva per questo la par condicio ed era una pezza. Forse a colore o forse no ma solo una pezza, uno straccio a coprire, tamponare.

Poi lo straccio è diventato filosofia, cultura. Addirittura sinonimo di democrazia. Più che altro la par condicio è il panno con cui ogni autorità ripara se stessa. Ossessione burocratica. Ma anche a questo punto ossessione ideologica. E’ diventata avversione, ostilità, anzi bando all’idea stessa di informazione e giornalismo. In tv un giornalista secondo par condicio può e deve solo far domande che non contengano “tesi”. Per tesi s’intende anche dati di fatto. Se parla in tv il giornalista e parlando dice che oggi è giovedì e mancano tre giorni a domenica deve essere garantito analogo spazio a chi voglia sostenere che questa storia dei sette giorni a settimana è una costrizione insopportabile.

Quindi ne discende, come rileva il Corriere della Sera, che perché possa essere predisposto e invitato il suo contrario ogni giornalista ospite in trasmissione debba dichiarare o comunque accettare sia dichiarata la sua parte, quale sia la sua parte e tesi. Insomma si chiede fermamente una contro firma sul certificato di morte del giornalismo. E chi lo fa crede sinceramente di farlo in nome della corretta informazione.

 

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