Pd, il “meglio morti che Renzi” ha un Capo: D’Alema. Fenomenologia di una boria

D'Alema e Renzi durante la campagna elettorale a Firenze del 2009
D’Alema e Renzi durante la campagna elettorale a Firenze del 2009

ROMA – Quasi da sola, e comunque ben prima di quasi ogni altro, Elisabetta Gualmini su La Stampa scrive, argomenta e mostra quel che è e non quel che appare: tra Forza Italia di Berlusconi e Nuovo Centro Destra di Alfano più che scissione è federazione. Forza Italia magari ingrassata di qualche voto anti sistema di rientro da Grillo, Nuovo Centro Destra magari ingrossato di qualche moderato ex Udc/Scelta Civica si ritroveranno uniti al prossimo appuntamento elettorale che conta, resta da fissare la data per le politiche anticipate, 2014 o 2015? E il leader, il candidato premier? Berlusconi, magari dopo aver scontato la pena.

Alla Federazione aderiranno, son già pronti, la Lega di chiunque sarà la Lega, Fratelli d’Italia, la Destra, anche una resuscitata An dovesse resuscitare. E questo “cartello elettorale” come giustamente lo definisce la Gualmini, cartello elettorale in costruzione sotto gli occhi di tutti, per nulla nascosto o imperscrutabile, sarà, come sempre e come è ovvio, “contro la sinistra”.

E chi, cosa sarà la sinistra allora, al momento di doversi confrontare con il “cartello di tutte le destre e di tutti i centri”? Sarà il lascito di un governo Letta che forse avrà provato davvero a tagliare di 32 miliardi la spesa pubblica improduttiva, inutile e incontrollata. Se ci avrà provato davvero, nel 2015 si troverà contro tutti gli interessi toccati, cioè milioni di elettori. O forse il governo Letta non ci avrà provato nemmeno. Avrà invece provato a galleggiare sulla spuma di tasse che non calano e spesa che non si tocca. E allora avrà deluso tutti gli interessi possibili, cioè milioni e milioni di elettori.

Questa sarà la sinistra che il “cartello” di tutte le destre e di tutti i centri che si vanno via via federando dovrà affrontare, magari guidata, con candidato premier, lo stesso Enrico Letta. Una sinistra che nei piani e progetti e strategie di non pochi cultori e difensori delle sorti della sinistra dovrebbe vedere il suo maggior partito, il Pd, guidato da Gianni Cuperlo, nota figura carismatica e simbolo vivente di tutte le riforme e cambiamenti, a partire dalla riforma della politica. E, sempre negli stessi piani, affrontare con una coalizione elettorale con Sel e membra disperse delle altre microscopiche sinistre, il cartello delle destre e niente meno che M5S.

Una simile strategia, un percorso così tracciato hanno un pregio, la chiarezza del dove conducono: alla morte elettorale, all’irrilevanza politica e anche ala sconfitta sociale del Pd e di quel che rappresenta. Eppure è la strategia di Pierluigi Bersani. Passi che sia la sua, Bersani non è mai riuscito a metabolizzare il suo insuccesso ed ha elaborato una strategia, una fenomenologia del rancore politico. Conduce alla morte, eppure è la strategia di Stefano Fassina che sta pure al governo. E passi che sia quella di Fassina: se uno è sinceramente convinto, convinto perfino di averlo studiato, che i posti di lavoro si creano a colpi di tasse, ci sta anche sia convinto che Cuperlo più Vendola faranno domani 45 per cento dei voti. In fondo i due eventi hanno la stessa plausibilità.

Ci sta anche che sia la strategia di Carla Cantone, segretaria dello Spi-Cgil, i pensionati della Cgil o di Agostino Megale, segretario Fisac, i bancari della Cgil. Con tutto il rispetto per pensionati e bancari, non proprio la parte trainante e innovativa dell’economia e della produzione. Ci sta sia la strategia non esplicita ma evidente di Susanna Camusso. Ci sta sia la strategia cui va non il consenso ma la simpatia di Guglielmo Epifani.

Ci sta meno, molto meno sia la strategia di Enrico Letta cui forse sta nuocendo un eccesso di determinazione e impegno nel tentare di fare quel che tenta di fare. Va bene lavorare come fosse il miglior governo possibile, non dovrebbe però mai dimenticarsi che è solo e soltanto e forse il meno peggio dei governi oggi possibili.

Conduce alla morte elettorale e politica, eppure è la strategia di non pochi nel Pd. E lo è perché è la strategia del “Meglio morti che Renzi”.  Non sono stupidi nel Pd, ma “prima di dare la ditta a quello passare sul mio cadavere” affascina e convince, perfino motiva. Peccato che il cadavere non sia solo quello del resistente in questione, ma quello dell’intero partito e, guarda caso, anche dell’intera sinistra e pure dell’intero paese. Finora comunque il “Meglio morti che Renzi” era un sentire diffusi, ma non aveva un capo, un leader, una guida.

Bersani non era credibile, Epifani troppo tiepido, Letta non vuole esporsi e non può essere bruciato… Ed eccolo finalmente il leader, il capo, la guida del “Meglio morti che Renzi”: Massimo D’Alema. Ha comunicato che combatterà Renzi “palmo a palmo, voto su voto”. Che Renzi è “ignorante” della storia minima del paese, che è “un falso messia e santone”. E, niente meno, uno appoggiato dai “poteri forti mediatici”, leggi La Repubblica. Sorvolando sul silenzio-assenso di D’Alema  quando La Repubblica appoggiava, anzi stra appoggiava Bersani,  sorvolando anche sulla stizza di D’Alema per il risultato che vede Renzi più votato tra gli iscritti Pd (appena poche settimane fa D’Alema-Cuperlo-Fassina  spiegavano che tra gli iscritti quello là non passava) cosa c’è al fondo di questa leadership rivendicata e impugnata del “Meglio morti che Renzi”?

C’è purtroppo una fenomenologia della boria. Boria, quel sentimento, quel sentire che ti porta, ti trascina, anzi ti convince che gli errori e i passi falsi nel tuo cammino non siano tali. Non errori o passi falsi ma solo e soltanto imperfezioni del manto stradale che hanno impedito che i tuoi passi giungessero dove razionalmente, logicamente dovevano andare. Allo stato iniziale la boria è come la prime infezioni che affliggono il neonato umano. Preziose, utilissime, formano il sistema immunitario. Guai se nella formazione di un essere umano non vi fosse razione di boria e presunzione, presunzione di poter capire, agire, fare.

Poi, da anziani, la boria si inzitellisce. Diventa mania del tutto già visto e quel che è fuori dal già visto è intrusione molesta e maleducata. Diventa la presunzione attitudine ossessivo compulsiva a che nessuno sposti nulla e niente delle tue macchinine e trenini. Di questa boria senile soffre una rilevante parte del gruppo dirigente e anche della gente militante del Pd. D’Alema ne è il migliore interprete e capo. Sarebbero in fondo affari loro se non fosse che con il “Meglio morti che Renzi” fanno danno anche a chi sta loro intorno, perfino a chi è a loro caro, la sinistra, gli elettori di sinistra, l’elettorato tutto, il paese intero.

Paese, Italia, che nel 2015 al massimo torna in mano al “Cartello-Federazione di tutte le destre e tutti i centri”. A meno che qualcuno, qualcosa non cambi i numeri già scritti. E i numeri sono che solo un Pd di Matteo Renzi può provare a tenere M5S di Grillo sotto il 20 per cento e quindi contendere la vittoria al “Cartello”. La boria giovanile i numeri li cambia, la boria senile i numeri li ignora o se li inventa.

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