Pil, 40 anni di scivolo: chi lo spinge in discesa?

pilROMA –  Dicesi Pil (Prodotto interno lordo) il calcolo della ricchezza materiale prodotta da un paese. Criterio rozzo, misura solo quantitativa e non qualitativa. Però se non è sinonimo di felicità e neanche di giustizia sociale, di certo il Pil significa risorse: o ci sono o non ci sono, o crescono o diminuiscono. Su questo, su questo significato del Pil non ci piove. E il Pil italiano, la sua storia dicono molto. Molto più di quanto l’Italia dei politici e anche quella dei cittadini vogliano sapere.

Negli anni Sessanta, in quel decennio il Pil crebbe del 55,7%. Nel decennio successivo, gli anni Settanta, il Pil italiano cresce del 45,2%. Negli anni ottanta cresce ancora, del 26,9 per cento. Negli anni novanta il Pil cresce del 17% in un decennio. Nei primi dieci anni degli anni duemila il Pil italiano cresce del 2,5 per cento e negli ultimi tre anni il Pil italiano è sempre in calo. Colpa della crisi, della recessione…Mica tanto, fatto 100 il Pil del 2007, a fine 2013 la situazione è: Germania più 4,5% Francia più 0,5%, Regno Unito meno 1,5%, Spagna meno 5,8% Italia meno nove per cento. La crisi e la recessione ci sono per tutti ovviamente ma da noi fanno più effetto, perché?

Perché crisi finanziaria, poi del debito e quindi recessione in Italia si sommano e si stratificano sopra qualcosa che è cominciato molto prima dei subprime americani o dell’austerità tedesca o dell’euro. Come mostrano i 40 anni di scivolo del Pil dagli anni ottanta in poi cominciamo a rallentare sensibilmente nel produrre ricchezza. Troppa poca tecnologia in azienda, troppo poco capitale investito che non sia quello bancario, troppo piccole le dimensioni aziendali, troppa spesa pubblica a comprare consenso interno, troppa frenesia a smontare il percorso della formazione e cioè scuola e università…Comincia allora e prosegue poi a incepparsi la produzione di ricchezza, fino a fermarsi già tredici anni fa e già da tredici anni.

Non è stata dunque la crisi, è stato quel che c’era già prima della crisi a spingere giù in discesa la produzione di ricchezza di questo paese. Non è la stata la crisi cattiva venuta da fuori, siano stati noi a volerci e plasmarci così come oggi ci lamentiamo di essere. ma non ci piace saperlo, neanche se lo leggiamo nei numeri, nei numeri del Pil. Non ci piace saperlo perché l’idea coltivata da politici e cittadini è che uscire dalla crisi significhi tornare come “prima”. Appunto, a quel “prima” che ci inguaia da molto prima della crisi: alla spesa pubblica a comprar consensi, alla poca produttività e tecnologia, al poco capitale di rischio, alla nulla innovazione e al “come stiamo restiamo”. E’ il “prima” che spinge in discesa il Pil, un “prima” sognato, agognato da chi vota Grillo e da M5S, un “prima” che è fede e speranza della Cgil e della parte “storica” del Pd e di gran parte dei suoi elettori,  partire dai pensionandi per arrivare al pubblico impiego, un “prima” che è l’orgoglio, la pratica, l missione e la predica di Berlusconi e dei suoi partiti, un prima fatto di milioni di imprenditori che “se la cavano”. ecco perché quando finirà soprattutto altrove e non Italia e noi allora grideremo alle “inique sanzioni”. Un po’, anzi un po’ troppo lo stiamo già facendo.

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