Polizia indiana tenta terzo arresto. Sospendere le missioni all’estero

ROMA – La polizia del Kerala, lo Stato indiano che tiene prigionieri i due marò italiani, ci ha riprovato: agenti sono saliti sulla nave italiana e hanno “invitato” un terzo marò a smettere la divisa, indossare abiti civili e a scendere a terra per un interrogatorio. Per fortuna e diremmo ovviamente stavolta gli italiani non ci sono cascati, il marò è rimasto a bordo ed ha evitato di finire in cella come gli altri due. Catturati, vale la pena di ricordarlo, con un trucco delle autorità indiane: la nave era al largo e fu richiamata ad attraccare nel porto indiano “per procedere al riconoscimenti di pirati del mare”. Pirati che non c’erano, c’era solo la voglia degli indiani di catturare i soldati italiani e metterli in cella. Cella “comoda” e non quella dei detenuti comuni: questo è quello che finora di tangibile ha ottenuto la reazione italiana. Cui va aggiunto il “privilegio” per i due prigionieri di un colloquio quotidiano con i funzionari italiani e di una dieta quotidiana fornita dal consolato. Insomma cella comoda e pasta al sugo invece di riso al curry. Bilancio magro di azione diplomatica sia pure intensa.

Per come stanno le pedine sul tavolo e se nessuno cambia il gioco, se va bene i due aspetteranno in cella le elezioni nello Stato del Kerala. Elezioni e voti che si muovono anche sulla questione della “punizione” agli italiani. Se le elezioni le vince il governo in carica e il partito ora al potere, se avrà mostrato di essere duro con gli occidentali, tanto duro da non dover essere soppiantato dalla opposizione che fa comizi per essere ancora più dura con gli “italiani assassini”, allora il vincitore riconfermato potrà essere indulgente e allestire per i due italiani un processo indiano dall’esito benevolo. Insomma se va bene qualche mesetto di carcere comodo e pasta al sugo. Se va bene. Se va male e le elezioni le vincono quelli che le stanno combattendo anche a colpi di “solo noi puniamo davvero gli italiani”, allora i mesi si moltiplicano e nessuna pasta al sugo potrà lenire la detenzione e l’umiliazione. Detenzione per i marò, umiliazione per l’Italia.

Umiliazione perchè quei due non sono due italiani all’estero incappati in un guaio, sono due soldati italiani in missione all’estero. Se avviene che qualcuno, chiunque li può arrestare, processare e detenere sulla sola base della “sua” legislazione e della sua convenienza, allora tutti i soldati italiani in missione all’estero vengono potenzialmente esposti alla stessa sorte. E’ un punto che il governo tecnico non ha afferrato con prontezza all’inizio della vicenda. Ora si tratta di recuperare e in fretta, di dare corpo alla valenza politica di quel che sta accadendo. Non è questione di voce grossa o debole, di petto gonfiati e fanfare contro diplomazia felpata che tratta. Si tratta invece di mostrare a tutti che l’Italia ha capito ed è in grado di far capire. Nel mondo ci sono migliaia di soldati italiani in missione, in missione nell’interesse della comunità internazionale. Se l’interesse è comune, allora la protezione dei militari deve essere in comune. Assicurata e garantita da tutti nell’ambito delle leggi e accordi internazionali che regolano le missioni militari. Si può e forse si deve a questo punto “ricordarlo” all’Onu e per suo tramite anche all’India. “Ricordarlo” a tutti sospendendo ad esempio l’operatività dei nostri contingenti militari in missione all’estero fino a  che il caso di Salvatore Girone e Massimiliano Latorre non diventa quel che è: un caso di politica internazionale e non di polizia del Kerala.

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