Quaranta anni, ma quali? Nel 2011 in pensione all’età media di 58,7

di Lucio Fero
Pubblicato il 1 Dicembre 2011 - 15:58 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Quaranta anni…sì, ma quali? Nei primi dieci mesi del 2011, insomma fino a ieri, l’età media in cui si è andati in pensione in Italia è di 58,7 anni. Sono dati dell’Inps, messi in rete dall’Agenzia Ansa. Cinquantotto anni e neanche cinquantanove: a questa età gli italiani in media vanno in pensione. E gli allungamenti, l’aumento dell’età pensionabile da tutti o quasi denunciata come già “sofferta”. In effetti un allungamento c’è stato: nel 2010 l’età media del pensionamento era stata 58,6 anni. Un decimo di un anno: questa è stata finora la sofferenza reale. Se queste sono “lacrime e sangue”, se questa è stata finora la “macelleria sociale”…

Ma il dato più significativo è che i due terzi di quelli andati in pensione a 58, 7 anni di media lo hanno fatto con quaranta anni di contributi versati. Tutti operai che hanno cominciato al lavorare in fabbrica a 18/19 anni? Tutti lavoratori precoci cui non si può imporre qualche anno di lavoro in più? Tutti lavoratori da quaranta anni effettivamente al lavoro? Ovviamente no: i quaranta anni di contributi spessissimo si raggiungono con i cosiddetti “contributi figurativi”, riscattando gli anni della laurea oppure, quando c’era, del servizio di leva. Oppure con contributi appunto figurativi consentiti dai contratti delle varie categorie e professioni. Sono soldi versati dai lavoratori e a chi li ha versati in qualche modo devono tornare. Ma questa è altra e molto diversa cosa dalla narrazione che vuole la pensione un diritto inalienabile e “acquisito” dopo quaranta anni di lavoro. Quaranta anni di contributi non corrispondono quasi mai a quaranta anni di lavoro effettivo. Quaranta, come dice Susanna Camusso, è davvero un “numero magico”. Nel senso però che garantisce la “magia” di lavoratori che a neanche 59 anni di età vanno in pensione con quaranta anni di contributi.

E che, se la salute li assiste, in pensione restano per 20 anni in media se sono uomini e 25 se sono donne. Ma tutto sarebbe ancora giusto, prima ancora che economicamente sostenibile, se i contributi versati, figurativi o no, avessero coincidenza con l’importo della pensione. Invece quei quaranta anni, quel numero magico si raggiunge versando contributi sui quali non si calcola la pensione. Per chi ha cominciato a lavorare almeno venti anni fa la pensione si calcola sulla media delle ultime retribuzioni, non sui contributi. Il risultato è che chi fa oggi magicamente quaranta ottiene una pensione superiore ai contributi versati e quasi doppia rispetto a chi ha cominciato a lavorare alla fine del secolo scorso. E comunque un sistema che manda in pensione a meno di sessanta anni e tiene in pensione per 20/25 anni una cosa la garantisce di sicuro: pensioni di fame per chi la prenderà nei prossimi decenni. Prima di proclamare uno sciopero generale sotto la bandiera dei “magnifici quaranta”, la Camusso e Bonanni e Angeletti si chiederanno almeno quali quaranta?