ROMA – Damiano Tommasi e Susanna Camusso uniti nella lotta: entrambi guidano uno sciopero “no limit”. C’è irriverenza nell’accostamento, accostamento che viola alla grande il “politicamente corretto”. E c’è del voluto gusto del paradosso nel cercare assonanze tra lo sciopero indetto dalla Cgil per il sei settembre contro la manovra del governo e lo sciopero quasi certo dei calciatori nella prima giornata di campionato, quella di sabato e domenica 27 e 28 agosto. Però le assonanze, le “vicinanze” ci sono eccome, e non solo nel calendario. Entrambi, Damiamo Tommasi a capo della Aic e Susanna Camusso segretaria delle Cgil hanno di fronte controparti assai discutibili. Decisamente inaffidabile, se non proprio impresentabile, la controparte dei calciatori, e cioè le società di calcio e i loro presidenti. Società dedite allo spreco e allo scialo che animano una “fabbrica del pallone” in deficit strutturale. Presidenti a dir poco “folkloristici” in pensieri, parole ed azioni. Poco credibile anche la controparte governativa che chiama gli italiani a contribuire al grande risanamento dopo aver raccontato per tre anni agli italiani che nulla c’era da risanare e dopo aver negato almeno negli ultimi sei mesi l’evidenza della crisi. Entrambi hanno di fronte controparti di cui fidarsi è difficile, non fosse altro perché dedite ad un costante cambiare le carte in tavola, del contratto collettivo dei calciatori e del testo e delle misure della manovra.
E le simiglianze non finiscono qui, purtroppo per Tommasi e pure per la Camusso. Entrambi chiamano allo sciopero per la difesa di un sacrosanto e rispettabile principio: il contratto collettivo nel caso dei calciatori, la difesa dei diritti dei lavoratori nel caso della Cgil. Ma dentro questo “principio” entrambi infilano, o lasciano che si infilino, cose che sacrosante e rispettabili non sono. Damiano Tommasi e la sua Aic non possono far finta di non sapere che un sacrosanto contratto collettivo per i calciatori non può prevedere per loro le tutele e le garanzie dovute ad un metalmeccanico e le libertà sul mercato dovute ad un professionista. Retorica, pura retorica e neanche di gran conio è il pianto sugli allenamenti separati raccontati come mobbing. E francamente intollerabile è il gioco a nasconder la palla che i calciatori fanno sul contributo di solidarietà, insomma sul chi paga l’aumento delle tasse sulla loro retribuzione. Dire, come dice Tommasi: “Vedremo quando l’aumento ci sarà” è fare il pesce in barile. Devono pagare loro, i calciatori. Punto e basta. Il solo discuterne è offensivo per il resto del paese. Il solo parlarne squalifica chi ne parla.
E, su un piano ben più serio e infinitamente meno volgare, la Camusso non può non sapere che la difesa ostinata del diritto ad andare in pensione per anzianità e non per vecchiaia è una tassa imposta al resto della società. E non può la Cgil infilare nel corretto cesto della difesa dei lavoratori la scorretta pretesa e la promessa improbabile per cui tutto si sana e si aggiusta lasciando l’Italia della previdenza, della spesa pubblica, della bassa produttività tutta così com’è e tutto risolvendo con una tassa sulle case dei ricchi.
Terza e decisiva assonanza: in entrambi si registra una “indifferenza” al quando e al come, al dove e al tempo che si vive. Uno sciopero oggi in Italia i calciatori proprio non possono permetterselo, non possono proporlo. Fosse anche motivato al cento e per cento, e non lo è, questo sciopero ha qualcosa di “autistico”, ignora e sbeffeggia, irrita e graffia il resto della popolazione. Non capirlo è “autismo” corporativo da parte dei calciatori. Nel caso della Cgil forse parlare di autismo sindacale è troppo e3d esagerato, di certo però lo sciopero della Cgil è solo e soltanto voler fare il pieno dei “suoi” e nulla più. Non è tempo di scioperi senza se e senza ma, una Cgil dovrebbe capirlo.