ROMA – “Macron non è Babbo Natale”: questo il titolo dell’articolo di Giuseppe Turani pubblicato su Uomini e Business.
Capita, anche a sinistra, che si scambi la politica per le feste natalizie. Non è così: a Natale si regalano doni ai bambini, in politica i grandi regolano i conti fra di loro, e non sono quasi mai questioni semplici.
Adesso molti si dimostrano stupiti perché il “sinistro” Macron difende ostinatamente i confini francesi e ci rimanda indietro gli immigrati. Per di più, si mostra solidale con i nostri molti guai, ma nemmeno poi tanto. E quindi quelli che qui per un mese si sono dannati l’anima alla ricerca di un “Macron italiano”, cominciano a pensare che la ricerca sia inutile, Macron della malora.
Le cose sono leggermente più complesse. Macron è un signore che, quasi per miracolo, ha conquistato la guida del suo paese. Paese che non sta benissimo. Sta meglio di noi, ma è invecchiato anche se meno di noi. Macron sa benissimo che può perdere la Francia con la stessa velocità con la quale l’ha conquistata. Sa che deve camminare su un sentiero molto stretto, non può permettersi sbandamenti. Deve prendere un paese molto burocratizzato e molto “socialista” e cercare di trasformarlo in fretta in un paese moderno, competitivo, liberal-democratico, come si usa dire. Buona parte di questa battaglia si svolgerà in Europa.
E il suo alleato naturale è la Germania, non l’Italia.
L’Italia, al di là della propaganda ufficiale, un po’ stucchevole a questo punto, non è una soluzione per i problemi di Macron e dell’Europa. Semmai è un problema. Siamo il paese più arretrato e più indebitato, più recalcitrante a fare le riforme. Con una politica che ormai risulta quasi incomprensibile ai suoi stessi protagonisti.
Se qualcuno volesse fare una prova di quanto appena affermato, cancelli le tracce di Renzi dalla politica italiana e provi a leggere quello che rimane: una serie di blà blà vuoti e senza senso alcuno, gente che si parla addosso, che ripete ossessivamente cose già vecchie venti anni fa.
Chiarito questo, si può anticipare che non si sta preparando un’Europa dalla quale arriveranno all’Italia soldi a fiumi e grandi pacche sulle spalle. Anzi, la stagione dei sorrisi e della comprensione sta per finire. E c’è una data: le elezioni tedesche.
Una volta rieletta cancelliere la signora Merkel, l’Europa cambierà registro, anche riguardo all’Italia. Nel senso che Francia e Germania pretenderanno che l’Italia cominci a andare avanti con le sue gambe e non più con i soldi degli altri. Può darsi che ci lascino giocare ancora qualche mese per non tirare la volata ai populisti italiani (gli ultimi sopravvissuti in Europa), ma poi la stretta arriverà.
Se qualcuno si illude che Macron, per simpatia politica, consenta a noi quello che nemmeno a se stesso consentirà, e cioè la finanza un po’ allegra, si sbaglia di grosso.
Qui in Italia, soprattutto a sinistra, si è fatta strada l’idea che il paese si rimette in moto distribuendo soldi che non abbiamo (che prendiamo cioè a debito), ma è un errore. Non è mai successo. Distribuire soldi a destra e a sinistra non è “fare Keynes”. Fare Keynes significa fare qualche debito, ben calcolato, per fare cose utili, ad esempio la Tennessee Valley autority. La battuta “piuttosto di niente, facciamo scavare da alcuni delle buche, che altri poi riempiranno” è appunto una battuta. Non una linea di politica economica.
Macron e la signora Merkel, i due veri padroni d’Europa in questa stagione, saranno anche al nostro fianco, forse. Ma solo se ci decideremo a fare sul serio le riforme che continuiamo a promettere e che poi non facciamo mai. La nostra vecchia Costituzione, per dirne una, è stata salvata il 4 dicembre da un’accozzaglia mai vista al mondo (da Casa Pound alla sinistra estrema), ma le illusioni devono cadere: quella Costituzione deve andarsene, deve cambiare, in un modo o nell’altro. Prima questo accade, meglio sarà per tutti.
Per essere ancora più chiari: non esiste alcuna speciale sintonia fra noi e Macron, come non esiste alcuna speciale sintonia con la signora Merkel. L’Europa fra l’altro è impegnata in un duro braccio di ferro con gli Stati Uniti, e noi siamo un po’ la zavorra che la frena. Se vogliamo stare nel gruppo di testa, dobbiamo meritarcelo. Solo Di Battista pensa che basti andare a Bruxelles e urlare. L’Europa può mandarci in default nel giro di due ore, con tutti i debiti e con la poca credibilità che abbiamo.
In conclusione, la Francia per i prossimi cinque anni ha scelto il suo comandante in capo. La Germania lo farà dopo la pausa estiva. Dopo, si torna al lavoro. Ci lasceranno sei mesi per fare le nostre elezioni, poi la musica finisce e bisogna mettersi al lavoro.
E è appena il caso di ricordare che a fine 2018 (fra 18 mesi) finisce il Qe di Draghi. Poi, nel 2019, Draghi lascerà il posto a un tedesco, durissimo. Pensare che alla fine ci faranno sconti perché suoniamo il mandolino e siamo ragazzi simpatici sarebbe da dementi.
Insomma, il nuovo che arriva avrà un volto severo e anche un po’ arcigno.
Non Babbo Natale e nemmeno la Befana, meglio prepararsi.