L’illusione della riduzione della spesa: 80% di entrate, 20% di tagli

ROMA – La manovra recentemente approvata (nella versione quater uscita dal Senato, destinata ad essere ratificata dalla Camera) si compone all’incirca per l’80 per cento di maggiori entrate e solo per il 20 per cento di minori spese. Limitando il giudizio alla composizione, senza entrare nel merito dei singoli interventi, forte appare il contrasto tra gli intenti del governo, annunciati nel documento programmatico a primavera, e le realizzazioni. L’annuncio era quello di concentrare le misure sul versante della spesa, ma si trattava di un proposito illusorio.

Ridurre la spesa pubblica immaginando di tagliare le poste di bilancio in forma più o meno lineare è infatti una pia illusione, praticata ripetutamente nelle manovre degli ultimi 20 anni. Spesso lunghi elenchi di stanziamenti, relativi all’acquisto di beni e servizi (ma non solo), hanno affollato le leggi finanziarie. Colonne di numeri in cui la prima indicava l’importo originario, la seconda il taglio, del 4, del 5, del 10 per cento, a seconda degli anni. Non serve a granché.

Lo ha detto da ultimo Fabrizio Saccomanni, direttore della banca d’Italia, parlando al premio Capalbio qualche giorno fa: non esiste la possibilità di introdurre dei tagli efficaci; solo una spending review permanente, da parte di una autorità indipendente, per valutare costantemente l’andamento dei programmi di spesa al fine di ottimizzare le risorse impiegate. Efficacia ed efficienza: le parole magiche con cui sono stati infarciti i testi legislativi. Senza mai approntare lo strumento idoneo.

Permanente significa che non basta una analisi, pur autorevole, svolta una tantum, come quella effettuata dal Prof. Giarda, su indicazione del ministro Tremonti. Ci vuole una struttura permanente (collocabile nel Parlamento, come nel caso del CBO americano, oppure in una authority indipendente, come quella varata da Cameron in Inghilterra) che passi al microscopio ogni programma di spesa, verificando costi e risultati, nel dettaglio; individui le best practise; confronti le varie esperienze; analizzi le procedure amministrative.

Nella pubblica amministrazione, centrale e locale, siamo ancora al controllo contabile, formale e spesso cartaceo. Non esiste una banca dati unificata della pubblica amministrazione dove sia possibile reperire le informazioni di base per avviare il monitoraggio che sarebbe necessario. Le tecnostrutture custodiscono gelosamente le informazioni, opponendosi alla integrazione che le tecnologie informatiche ormai consentirebbero senza difficoltà. Manca la cultura del dato, della trasparenza, del controllo sostanziale.

Le pubbliche amministrazioni hanno grande difficoltà a controllare il ciclo passivo. La contabilità finanziaria non è affiancata da quella economica e anche negli enti che si basano sulla seconda (come le aziende sanitarie ed ospedaliere, che gestiscono oltre 100 miliardi l’anno di costi di produzione) spesso non viene utilizzato alcuno strumento per il controllo della gestione. Il risultato sono le inefficienze, gli sprechi, l’uso inappropriato delle risorse, che produce disavanzo e aumento della imposizione fiscale per i cittadini e le imprese.

La difficoltà di controllare il ciclo passivo, è di natura strutturale e presenta forti elementi di criticità. Ciò può dipendere: dalle problematiche che nascono quando si affiancano sistemi di contabilità finanziaria a sistemi di contabilità economica, sia nello Stato che negli enti territoriali; dal mancato utilizzo in forma diffusa di processi di dematerializzazione e tracciatura; dalla difficoltà di gestire in forma integrata e dinamica programmazione dei fabbisogni, ordini, controlli delle forniture, fatturazione.

Problemi che il taglio lineare non intacca, anzi può anche peggiorare, forzando il rinvio di interventi che si ripresentano, magari inaspettati, qualche anno dopo. L’unica strada è quella della cultura della valutazione. Strada impervia e contorta, che non conosce scorciatoie.

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