Debiti degli enti locali: finalmente una svolta?

Siamo finalmente una svolta per i debiti dei degli enti locali?

Il decreto 35 del 2013 approda nel Parlamento della XVII legislatura in una situazione di forte stallo istituzionale. Contiene delle disposizioni molto innovative, che potrebbero contribuire fortemente al rilancio della stagnante economia italiana.

Tra il 2013 ed il 2014, con articolazioni e farraginosità che le Camere sono chiamate a sciogliere, una somma rilevante, circa 40 miliardi di euro, viene indirizzata nel segmento della società, le imprese, che più di ogni altro può sviluppare una leva sulla crescita. Un intervento trasversale, per settori e dimensione, spalmato sull’intero territorio.

Rispetto ai decreti del governo Monti dello scorso anno è stato compiuto un duplice salto di qualità: il primo rispetto allo spazio di manovra sotto il profilo della provvista finanziaria; il secondo rispetto alla struttura del provvedimento che, anche senza considerare le correzioni possibili, si presenta di gran lunga più attivabile del coacervo normativo messo in campo dal governo tecnico.

Lo spazio finanziario è reso possibile dal conseguimento di un livello di indebitamento netto, nel 2012, al disotto del 3 per cento, precondizione preliminare per attivare in Europa, soprattutto per chi detiene un livello di debito pubblico come quello italiano, elementi di flessibilità nella politica di bilancio. Resta quindi molto importante il mantenimento del livello dell’indebitamento al disotto del limite del 3 per cento anche nel 2013.

Per questo motivo il decreto 35 distingue nettamente tra

a) spese correnti, il cui impatto è già incorporato nel saldo e

b) spese in conto capitale, che manifestano l’effetto sul saldo proprio al momento del pagamento.

Considerando che i debiti afferenti alla parte capitale ammontano convenzionalmente al 15 per cento del totale stimato (91 miliardi, secondo gli ultimi dati della Banca d’Italia) l’impatto stimato sull’indebitamento netto della quota da smobilizzare (40 miliardi) è di 0,4 punti, che si aggiungono ai 2,4 in precedenza definito.

Si resta quindi molto vicini al limite massimo anche nel 2013 (2,9 per cento). La chiusura della procedura di infrazione aperta nel 2009 nei confronti dell’Italia, prevista per il mese di giugno, pur essendo un prerequisito fondamentale per andare avanti, non deve far abbassare la guardia, per una serie di ragioni:

la necessità di finanziare interventi urgenti (missioni internazionali, esodati, aumento Iva…)

una somma che sale giorno dopo giorno (ha già superato i 10 miliardi);

una possibile (de)crescita nel 2013 maggiore di quella fino ad oggi ipotizzata (-1,3);

un debito pubblico che, al lordo dei sostegni, sfonderà per la prima volta la soglia del 130 per cento del Pil (130,4).

Il tema affrontato per primo dal decreto è quello dei debiti di parte capitale. Si stabilisce l’esclusione dai vincoli del patto di stabilità interno dei “pagamenti di debiti certi, liquidi ed esigibili di parte capitale maturati alla data del 31 dicembre 2012” ovvero dei “debiti di parte capitale per i quali sia stata emessa fattura o richiesta equivalente di pagamento” entro il predetto termine per un importo complessivo di 5.000 milioni per il 2013.

Si tira in altre parole una linea, alla fine dello scorso anno, tendente a ricomprendere in modo ampio l’esposizione degli enti locali: agli atti già perfezionati, cui manca solo il pagamento, si aggiungono quelli per cui “sia stata emessa fattura” (di cui va completato il ciclo passivo o inseriti nella contabilità generale in assenza di imputazione, questi ultimi potenziali debiti fuori bilancio). Vengono inclusi nella massa debitoria anche i debiti connessi a “richiesta equivalente di pagamento”, connessi cioè a contratti, protocolli, accordi che non richiedono emissione di fattura (e quindi non risultano nella contabilità generale). Lo stesso criterio di definizione della massa debitoria viene riproposto per la parte corrente.

Gli enti territoriali comunicano mediante il “sistema web della Ragioneria generale dello Stato”, entro il termine del 30 aprile 2013, gli “spazi finanziari” di cui necessitano per sostenere i pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili di parte capitale.

Entro il 15 maggio 2013, gli importi dei pagamenti da escludere dal patto di stabilità interno, sono individuati, “per ciascun ente locale”, sulla base delle “modalità” di riparto definite dalla Conferenza Stato-città ed autonomie locali (entro il 10 maggio 2013) o, in mancanza, su “base proporzionale” con riferimento al “90 per cento” dell’importo (con un decreto del ministero dell’economia). Con successivo decreto (entro il 15 luglio sulla base delle richieste pervenute entro il 5 luglio) viene ripartito il rimanente 10 per cento.

Il problema della individuazione della massa debitoria (sia capitale che corrente) deve tenere conto di alcune criticità nei processi organizzativi degli enti locali, preliminari rispetto alla possibilità di effettuare pagamenti: il completamento del processo di liquidazione; il riconoscimento di eventuali debiti fuori bilancio (fatture registrate in assenza di imputazione). Per la prima operazione vanno considerati almeno 60 giorni; per la seconda almeno 90 giorni, data la necessità di coinvolgere anche il consiglio comunale (che, con specifica deliberazione li deve riconoscere). Va quindi prevista una adeguata scansione temporale, che consideri i vari step sequenzialmente, visto che nei comuni, anche di medie dimensioni, lo stesso ristretto nucleo di persone si occupa contemporaneamente di tutti i problemi connessi alla gestione contabile del bilancio e non può essere impegnato a svolgere due operazioni complesse contemporaneamente.

Se le sezioni giurisdizionali della CDC, su segnalazione dei revisori dei conti, accertano che gli enti locali non hanno “segnalato lo spazio finanziario” o non abbiano proceduto nel corso del 2013 al pagamento del 90 per cento dei debiti (di parte capitale) irrogano una “sanzione” pari a 2 mensilità finanziarie ai responsabili interessati.

La sanzione può avere una utilità se estesa in forma esplicita anche ai dirigenti dei settori diversi da quello finanziario. Spesso infatti la responsabilità del ritardo nella gestione del ciclo passivo non va addebitata al “guardiano del bilancio” (ruolo molto enfatizzato dal decreto-legge 174 del 2012, convertito nella legge 213), ma è prevalente responsabilità dei diversi settori in cui sia articola l’ente locale (i lavori pubblici che liquidano con ritardo gli stati di avanzamento dei lavori, i servizi sociali che non trasmettono le fatture dei beni di consumo acquistati, l’ufficio tecnico che non controlla i consumi energetici, la polizia locale che enfatizza il grado di autonomia previsto dalla vigente legislazione in tema di destinazione vincolata e così via). Ritardi ed omissioni devono essere penalizzati: le fatture non inviate tempestivamente al servizio finanziario per l’inserimento nella contabilità generale (che producono un debito sommerso); gli atti di liquidazione prodotti con eccessivo ritardo rispetto alla data di emissione della fattura; le procedure di chiusura dei lavori incompiute, che impediscono il riutilizzo dei residui dei mutui. La definizione di severe norme sanzionatorie può garantire a regime lo snellimento del ciclo passivo, che è precondizione per non riprodurre nel futuro nuovi accumuli di pagamenti inevasi, in violazione delle le disposizioni comunitarie, recentemente inasprite.

L’allargamento dei vincoli del patto di stabilità può essere di ausilio agli enti cosiddetti virtuosi, con bilanci in equilibrio (o in attivo) e relative dotazioni di cassa. In questi casi, per consentire il pagamento delle spese in conto capitale arretrate, si allenta il tappo del patto, creando un nuovo spazio finanziario a destinazione vincolata. Nello stesso sottoinsieme si muove la disposizione che prevede, prima del 15 maggio (attraverso un decreto del ministero dell’economia), la possibilità, per ciascun ente locale di effettuare pagamenti nel limite del 13 per cento delle disponibilità liquide detenute presso la tesoreria statale al 31 marzo 2013, con il massimo del 50 per cento dello spazio finanziario.

Con questa disposizione si consente agli enti che hanno disponibilità liquide in tesoreria di avviare immediatamente il pagamento dei debiti di parte capitale. A parziale compensazione di questi nuovi gradi di libertà si dispone, per il 2013, la “sospensione del patto di stabilità interno orizzontale” (tra enti locali in avanzo ed enti in disavanzo).

“Al fine di fornire liquidità agli enti locali, per l’anno 2013, non rilevano ai fini della verifica del rispetto degli obiettivi del patto di stabilità interno delle regioni e delle province autonome i trasferimenti effettuati in favore degli enti locali soggetti al patto di stabilità interno a valere sui residui passivi di parte corrente, purché a fronte di corrispondenti residui attivi degli enti locali”.

Si tratta di una norma, se intesa in modo estensivo, molto importante per gli enti locali e in particolare per quelli che hanno esaurito le proprie disponibilità presso il tesoriere. Lo squilibrio strutturale del conto di tesoreria è sintomo di cattiva gestione della finanza comunale e si riflette sulla impossibilità di anticipare risorse regionali non trasferite perché bloccate dai vincoli del patto sugli enti intermedi. La norma riguarda i trasferimenti correnti (soprattutto servizi sociali) e, sotto il profilo quantitativo, è riferita ad importi significativi.

Sarebbe opportuno, per renderla operativa in tempi brevi prevedere esplicitamente un percorso per cui entro il 30 aprile 2013 (lo stesso termine fissato per prenotare lo spazio finanziario) ciascun ente locale predisponga, a cura del responsabile finanziario, l’elenco dei debiti di parte corrente iscritti in bilancio correlati a trasferimenti regionali o delle provincie autonome. Tale elenco viene inviato alla Regione o alla provincia autonoma per via telematica e, entro 10 giorni, sottoposto a riconciliazione. Nei successivi 10 giorni la Regione o la provincia autonoma effettua il trasferimento dei fondi all’ente locale e la conseguente cancellazione dei residui passivi. L’ente locale, nei successivi 10 giorni, effettua il pagamento e la cancellazione dei corrispondenti residui attivi. In questo modo, entro il 30 maggio 2013 sarebbero pagati tutti i crediti connessi a trasferimenti bloccati dal patto di stabilità interno o da inerzia degli enti intermedi. Per rendere la norma più cogente si potrebbero prevedere, per i responsabili finanziari inadempienti, le stesse penalità previste con riferimento ai debiti di parte capitale.

Ma questa importante disposizione sembra essere limitata nella sua operatività da quella successiva dove si afferma che i “maggiori spazi finanziari” nell’ambito del patto di stabilità interno delle regioni e province autonome derivanti dalla disposizione relativa ai trasferimenti correnti sono utilizzati esclusivamente per “il pagamento dei debiti di parte capitale certi, liquidi ed esigibili al 31 dicembre 2012, ovvero dei debiti di parte capitale per i quali sia stata emessa fattura o richiesta equivalente di pagamento entro il predetto termine”. Tali spazi finanziari, prosegue la disposizione, sono destinati prioritariamente per il pagamento di residui di parte capitale in favore degli enti locali. Se così intesa l’impatto sarebbe molto più limitato. Resterebbero inibiti i molti trasferimenti di parte corrente iscritti nei bilanci regionali (residui passivi) cui corrispondono residui attivi in quelli degli enti locali e si smaltirebbero solo quelli di parte capitale.

Diverso è invece il risultato se si intendono le due disposizioni (commi 7 e 8 dell’articolo 1) come simmetriche e trattate distintamente solo perché solo la seconda ha un impatto sul fabbisogno (quantificato nella relazione tecnica per 1,4 miliardi nel 2013 anche sull’indebitamento netto). Anche in questo caso sarebbe opportuno il completamento operativo della disposizione (sia relativamente alla scansione temporale, sia alle sanzioni per eventuali inadempienze). Entrambi i debiti degli enti locali connessi a trasferimenti regionali devono essere sbloccati, di conseguenza le norme vanno riscritte in modo simmetrico e distinte esclusivamente per il diverso impatto che hanno sul fabbisogno.

Per il 2013 si estende dai 3 ai 5 dodicesimi delle entrate correnti la possibilità per gli enti locali di “tirare” liquidità dal tesoriere. Anche questa disposizione, soprattutto per il vincolo su “una quota corrispondente” delle entrate correnti (IMU per i comuni e assicurazioni auto per le province) non esplica un grande effetto, soprattutto per gli enti locali con carenza strutturale di liquidità. (si risolve, in altri termini, nella concessione di una maggiore liquidità di cassa infraannuale).

Il Fondo per assicurare la liquidità per pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili” rappresenta la norma cruciale dell’intero provvedimento. L’impatto finanziario si limita al saldo netto da finanziare ed al fabbisogno, senza interessare l’indebitamento netto. L’impatto complessivo è di 10 miliardi nel 2013 e 16 nel 2014. La quota destinata agli enti locali è di 4 miliardi (2 nel 2013 e 2 nel 2014). Alle regioni e provincie autonome 8 miliardi (3 nel 2013 e 5 nel 2014). Al servizio sanitario 14 miliardi (5 nel 2013 e 9 nel 2014). Tra queste allocazioni saranno possibili variazioni compensative, “in relazione alla richiesta di utilizzo delle risorse” (con decreto del ministero dell’economia inviato a Corte dei Conti e parlamento). Anche in questo caso viene accantonata una quota del 10 per cento per il pagamento dei debiti richiesti in data successiva a quella prevista “e comunque non oltre il 30 settembre 2013”.

Si prevede cioè la possibilità che una parte delle posizioni debitorie possa essere definita e perfezionata in un secondo momento, rispetto alle scadenze fissate in prima battuta dal decreto. Il termine è congruente con tempo necessario per completare il procedimento di liquidazione dei debiti non ancora perfezionati e per l’eventuale riconoscimento dei debiti fuori bilancio (i 60 più 90 giorni cui si è fatto cenno sopra che, se calcolati in sequenza a partire dalla fine del mese di aprile, ci portano proprio alla fine del mese di settembre).

Nel frattempo il meccanismo delineato può operare immediatamente. Il ministero della economia, attraverso la stipula di un “addendum” alla convenzione con la Cassa depositi e Prestiti, versa le disponibilità su un conto corrente di tesoreria e la Cassa, attraverso la sua struttura specializzata, potrà effettuare le relative operazioni di “prelevamento e versamento”. Gli enti locali in “carenza di liquidità” chiedono, entro il 30 aprile, le anticipazioni necessarie (anche in questo caso per “debiti certi, liquidi o esigibili maturati alla data del 31 dicembre 2012 ovvero dei debiti per i quali sia stata emessa fattura o richiesta equivalente di pagamento”). Le anticipazioni sono concesse entro il 15 maggio 2013 “proporzionalmente e nei limiti delle somme sullo stesso [conto] annualmente disponibili” e restituite “con un piano di ammortamento a rate costanti, comprensive di quota capitale e quota interessi, con durata fino ad un massimo di 30 anni”.

La conferenza stato-città potrà individuare, entro il 10 maggio 2013 un meccanismo diverso da quello del riparto proporzionale e la rata annuale sarà corrisposta dagli enti locali al massimo entro il 30 settembre dell’anno successivo a quello della data della erogazione. Il tasso di interesse sarà quello del BTP a 5 anni e, in caso di mancata corresponsione della rata l’agenzia delle entrate provvede a trattenere le relative somme sulle imposte da trasferire.

Le somme erogate sono finalizzate al pagamento dei debiti e il responsabile finanziario dell’ente locale fornisce alla Cassa formale certificazione del pagamento e delle corrispondenti registrazioni sulle scritture contabili. La procedura viene integrata con il piano di rientro previsto dal decreto-legge 174 del 2012 e l’eventuale anticipazione concessa in applicazione di quelle norme, se non più dovuta, viene recuperata dal ministero dell’interno.

In forma generale, si tratta dello stesso procedimento che nel 2008 è stato attivato per estinguere anticipatamente l’enorme debito sanitario accumulato dalla regione Lazio al 31 dicembre 2005. Una procedura che ha fatto scuola, e che viene ora riproposta per estinguere i debiti commerciali che gli enti locali non riescono a pagare per carenza di liquidità. Un fatto positivo, se contestualmente saranno poste in essere le misure organizzative per evitare che nuovi debiti inevasi si accumulino nuovamente nei prossimi anni.

 

 

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