Pasticcio Imu. Altri 4 miliardi buttati nel cestino. Ennesimo sacrificio sull’altare delle larghe intese che, nelle democrazie mature, si caratterizzano come momenti transitori finalizzati al conseguimento del bene comune, in situazioni di emergenza. In Italia, che paese normale non è, il principio ispiratore è la prepotenza di parte che, con l’occhio fisso ai sondaggi, cerca di parlare alla pancia del paese, a quella parte che è in ognuno di noi, o quasi, sempre intenta ad osservare l’ombelico dei propri interessi particolari. E il peggio deve ancora venire.
Molti cittadini avranno benefici dalla abolizione della Imu per il 2013. Ma a quale costo? La coperta è corta e si è deciso di impiegarla per coprire la parte che ha meno bisogno di essere riparata (i proprietari di immobili), anziché, ad esempio, ridurre il cuneo fiscale, per rilanciare la crescita o evitare l’aumento della Iva, a questo punto quasi certo. Il particolare ancora una volta prevale sul generale.
Le coperture sono indeterminate e questo fa imbestialire l’Europa, mette in crisi la nostra credibilità, riacquisita a duro prezzo con la chiusura della procedura di infrazione. Indebolisce la possibilità dell’Italia di contrastare le politiche ispirate alla austerità senza se e senza ma, ancora forti nell’Unione; rende più difficile promuovere la crescita attraverso lo sviluppo delle istituzioni comunitarie e la revisione dei moloch recentemente implementati, come il fiscal compact.
Coperture regressive: le accise sulla benzina, il prelievo sui giochi (aggravato dalla odiosa sanatoria con i gestori di slot machine), magari anche i tabacchi, sempre in prima linea per quadrare il cerchio. Complicate, come l’anticipazione delle risorse stanziate nel 2014 per effettuare i pagamenti delle pubbliche amministrazioni (che darebbero, come effetto indiretto, un gettito Iva aggiuntivo).
Si carica questa operazione, già così complessa, di ulteriori gravami. La prossima legge di stabilità, prefigurata come catalizzatore dei segnali di ripresa che stanno timidamente affiorando, già annaspa, condizionata dalla necessità di individuare la copertura della Imu del secondo semestre dell’anno in corso.
La soluzione a regime è ancora avvolta dalle nubi. E ciò che si intravvede non ha un bell’aspetto. Una service tax che si sovrappone completamente alla imposta patrimoniale. Che penalizza, per definizione, i non proprietari: se un gettito pari a 100 era fino ad oggi il risultato di due tributi gravanti rispettivamente sui proprietari (Imu) e gli utilizzatori dell’immobile (Tares) sarà molto difficile che un tributo unico, pur con una componente patrimoniale, non penalizzi i secondi.
Si comprime infine, e questo è forse l’aspetto più negativo, la responsabilizzazione del decisore comunale: la abolizione della Imu sulla prima abitazione la riduce fortemente. Si dissolvono gli elementi a disposizione del cittadino per giudicare il proprio rappresentante: il principio pago, vedo, voto perde significato.
Cosa si sarebbe potuto fare? Lo aveva scritto con chiarezza il ministro Saccomani, nella documentata rassegna del 7 agosto 2013 dal titolo: “Ipotesi di revisione del prelievo sugli immobili” (http://www.mef.gov.it/primo-piano/documenti/Ipotesi_di_revisione_del_prelievo_sugli_immobili_new.pdf). Un lavoro in stile anglosassone, argomentato e documentato (105 pagine e 3 appendici), che evidentemente poco si attaglia allo spirito nazionale.
Nella introduzione si afferma, in relazione alla “ampia rilevanza … attribuita alla questione della tassazione dell’abitazione principale”, che “un’eventuale esenzione dalla Imu …. comporterebbe per i Comuni una perdita di gettito di circa 4 miliardi annui …, per la quale sarebbe necessaria un’idonea copertura finanziaria, nonché “che questa scelta rappresenterebbe una netta inversione di tendenza rispetto al processo di attribuzione ai Comuni di una maggiore potestà impositiva in linea con i principi fondamentali del federalismo fiscale in materia di responsabilità fiscale e trasparenza nelle scelte degli amministratori locali”. Si aggiunge inoltre che “ulteriori criticità riguardano gli effetti redistributivi e, in particolare, la circostanza che l’esenzione totale comporterebbe effetti regressivi”e che in “realtà, soprattutto per effetto delle maggiorazioni della detrazione, la Imu sulla abitazione principale è più progressiva rispetto alla Ici 2007, che ancora includeva l’abitazione principale”.
Tra le ipotesi passate in rassegna particolarmente calzante appare la numero 8, non a caso ripresa ampiamente dagli assessori al bilancio di un nutrito gruppo di comuni capoluogo.
In estrema sintesi il meccanismo proposto prevedeva: la destinazione delle risorse aggiuntive di copertura, pari a 2 miliardi, ai comuni, attraverso il finanziamento del fondo di stabilizzazione, lasciando a questi la possibilità di ridurre il prelievo sulla abitazione principale; il potenziamento dei margini di discrezionalità dei comuni sulla Tares, con la realizzazione di una service tax sui servizi indivisibili (escludendo la raccolta dei rifiuti), a carico dei conduttori e con nuovi parametri (nucleo familiare, valore degli immobili) da contemperare con l’imposta sulla abitazione principale; la reintroduzione della tassazione del reddito figurativo Irpef delle case sfitte consentendo, con legislazione statale, forme di deducibilità della Imu dai redditi di impresa e lavoro autonomo (penalizzate dalla Imu).
In questo modo si sarebbe garantito il disincentivo a tenere sfitte le abitazioni, si sarebbero agevolate le attività produttive e soprattutto sarebbe stato fortemente responsabilizzato il decisore locale. Insomma, insieme alla auspicata riforma del catasto si sarebbe compiuto un passo avanti verso una disciplina di sapore europeo.
Ma ancora una volta la razionalità non ha prevalso, travolta dai particolarismi prodotti, in questo ossimoro italiano, dalle larghe intese. E non è finita. Il peggio, come già detto, deve ancora venire. Prepariamoci.
I commenti sono chiusi.