Le ambizioni di Marchionne e il futuro delle auto Fiat – Chrysler

Sergio Marchionne, ad di Fiat

Con la presentazione del piano per gli anni dal 2010 al 2014,  il futuro della Fiat non ha più segreti. L’obiettivo strategico finale è quello di una fusione Chrysler- Fiat magari con l’inserimento di un terzo socio e la diluizione della quota azionaria detenuta dalla famiglia Agnelli. E proprio per facilitare la fusione Sergio Marchionne ha avviato la separazione dell’auto dagli altri settori industriali che, dalla fine degli anni 70, hanno dato luogo ad una conglomerata incapace di produrre profittevoli sinergie. Obiettivi chiari, numeri, definiti nel dettaglio e un piano di rinnovo della gamma imponente che prevede 34 nuovi modelli entro il 2014. Ma anche obiettivi ambiziosi che vanno visti alla luce di quelli che hanno caratterizzato il piano precedente. Quello del 2006 che prevedeva il lancio di una ventina di modelli entro il 2010. Ebbene di questi hanno visto la luce neppure la metà. E quindi è più che giustificata una certa ilarità manifestata da un uditorio composto da analisti finanziari dalla memoria di ferro.

E ci sono comunque due variabili sulle quali il piano di Marchionne, per quanto puntuale, non può incidere: una è l’andamento del mercato che offre una unica certezza, negativa, la fine degli incentivi. L’altra, la più importante, è quella rappresentata dal gradimento dei modelli da parte del cliente. E senza modelli di successo neppure i sei milioni di auto prodotte dal futuro colosso Fiat-Chysler costituiscono di per se una sufficiente garanzia di sopravvivenza. E infatti neppure i grandi numeri sono riusciti a salvare dal fallimento colossi come la General Motors. Perché costretta a vendere in perdita pur di tentare di convincere, e senza successo, un consumatore riottoso.

Quello che conta davvero è il gradimento espresso dal mercato verso questi nuovi modelli. Che fino ad ora, però, non è stato certo soddisfacente. Ed infatti se il futuro, almeno quello descritto al piano Marchionne, è certo, è piuttosto il presente ad impensierire. Perché nel primo trimestre del 2010 i due modelli Fiat più venduti, Grande Punto e Panda, sono usciti dalla classifica delle top ten continentali. Risultati deludenti, perché questi modelli contribuiscono per oltre il 75% alla quota di Fiat.

Senza contare che la gamma, nei segmenti a più elevato margine di contribuzione, è in questo momento molto debole. Per ammissione dello stesso amministratore delegato della casa torinese, Multipla, Croma, Ulisse Alfa Romeo 159, Musa e Lancia Idea sono avviate ad un inevitabile fine carriera. E nel segmento C, determinante per presidiare le quote di mercato, Bravo e Delta stentano a tenere il passo anche se la Giulietta della Alfa Romeo potrebbe contribuire a rafforzarne la competitività. Il confronto tra le 60.000 Golf vendute in un mese in Europa e le 4000 Fiat Bravo è rappresentativo della (mancata) competitività della Fiat nel settore delle vetture ad elevato margine di contribuzione. Come si possa difendere le quote di mercato senza disporre di quelle tipologie di modelli (station wagon, suv, crossover e monovolume) che oggi sono al centro della domanda è un interrogativo al quale è davvero difficile rispondere. Non che Marchionne non ne sia al corrente ma per risanare i conti di dell’auto in presenza di un mercato in calo la tentazione di bloccare gli investimenti sul rinnovo della gamma è forte. E neppure Marchionne ha resistito alla tentazione. Ma è un ragionamento a breve che certamente faticherà a reggere per un intero 2011 a secco di novità. Soprattutto a fronte di una concorrenza in parossistico attivismo. La fabbrica di auto che non progetta auto ha probabilmente i giorni contati. E d’altra parte il tentativo della Fiat di annettersi la Opel aveva proprio questo obiettivo: completare la propria (smilza) gamma prodotti con quella della filiale europea della GM. In difficoltà finanziaria ma ricca sul piano del prodotto..

Se confrontata con gli altri costruttori la gamma prodotto Fiat appare davvero ridotta all’osso. C’è poi da valutare quanto la meritoria trasparenza del piano, con indicazioni precise circa la dismissione degli attuali modelli, possa trasformarsi in un favore alla concorrenza. Prova ne sia che, tolto dal conto il 30% della quota che Fiat detiene in Italia, la penetrazione in Europa della casa torinese si attesta al 3.5/4%. Al di sotto della soglia che consente di mantenere in vita una rete commerciale in grado di gestire tre marchi.

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