4 Novembre 1918, l’unica grande vittoria militare italiana: costò 1.200 mila morti e portò il fascismo

4 Novembre 1918, l'unica grande vittoria militare italiana: costò 600 mila morti e portò il fascismo. Nella foto: Vittorio Gassman (a sin.) e Alberto Sordi in una scena del film "La grande guerra", del 1959, regista Mino Monicelli
4 Novembre 1918, l’unica grande vittoria militare italiana: costò 600 mila morti e portò il fascismo. Nella foto: Vittorio Gassman (a sin.) e Alberto Sordi in una scena del film “La grande guerra”, del 1959, regista Mino Monicelli

4 novembre, 100 anni fa si concludeva, con la vittoria italiana e degli alleati inglesi, francesi e americani, la prima guerra mondiale. Fu la fine di un’epoca, fu la fine dell’Impero Austro-Ungarico, fu l’umiliazione, temporanea, della Germania, fu la prima pietra della frana che portò al fascismo e al nazismo.

Fu una guerra inutile anzi dannosa. Dalla pace che la seguì vennero povertà, delusioni e il fascismo, come reazione anche ai fremiti rivoluzionari che da Mosca arrivavano fino a noi.

Però non si può negare che il 4 novembre 1918 per l’Italia fu un momento di fulgida gloria. Un anno dopo l’umiliazione di Caporetto, dalla resistenza sul Piave scaturì l’offensiva che travolse gli avversari austriaci.

Per l’Italia, il prezzo della vittoria fu di seicento 50 mila morti militari, quasi altrettanti civili e milioni di feriti. In Europa il bilancio fu anche più doloroso: 10 milioni di morti militari, 7 milioni di civili. Per gli italiani, riuniti da appena mezzo secolo sotto il tricolore e la corona sabauda, fu un trauma biblico. Milioni di ragazzi del Sud, che a mala pena capivano la lingua dei loro commilitoni del Nord, furono mandati al macello per una causa che non capivano. Furono quattro anni di guerra feroce, in condizioni inumane. Non fu diverso per i nostri alleati e per i nostri avversari. Film, testimonianze, biografie tracciano un quadro orribile della guerra di trincea in tutti i fronti d’Europa. Ma per i soldati italiani fu una esperienza terribile, aggravata dalla rigidità feroce e incompetente di una casta militare che si può dire non ha mai vinto una guerra se non quella finita 100 anni fa oggi. Purtroppo, con l’unità d’Italia, non nacque un nuovo Stato, si unirono al livello più basso e nel modo peggiore, le tradizioni reazionarie sabauda e borbonica. La lunga derivata di quella catena di errori è l’Italia di oggi.

La guerra poteva finire un anno prima e male, con Caporetto. Dopo un secolo, ormai è quasi verità condivisa che le principali cause furono gravi errori del futuro maresciallo Badoglio e il morale basso delle truppe logorato dalla vita in trincea e dalla feroce disciplina.

Periodi troppo lunghi in prima linea, nel fango, fra pidocchi e piattole, sulla testa le bombe, ogni notte all’assalto fuori dalla trincea, davanti il fuoco austriaco e tedesco, dietro la pistola degli ufficiali e i fucili dei carabinieri, pronti a far fuoco su chi cedeva alla paura di morire.

Sul Piave, al di là della retorica e della leggenda, fu scritta, col sangue di ragazzi appena diciottenni, una delle pagine più belle della storia d’Italia. Fu re Vittorio Emanuele III a puntare i piedi con gli alleati e imporre come linea di difesa il Piave, invece di una ritirata di profonda.

Furono quei “ragazzi del ‘99”, appena chiamati alle armi, a ribaltare le sorti della guerra.

Si sentono dire e si leggono tante fesserie sui giovani di oggi. Quelli che pontificano andrebbero presi a schiaffi. Meglio un po’ di intemperanze giovanili, che poi sono nella natura e nella architettura della vita, che vederli morire come mosche in nome di una Patria che non era poi nemmeno attrezzata a render loro il dovuto merito.

Che nella Germania umiliata nella sconfitta siano maturati i germi del nazismo si può capire. Che nell’Italia vincitrice sia nato il fascismo è solo colpa di quella classe dirigente senza visione e capacità di comando. Omuncoli, come quelli che in questi ultimi anni hanno determinato l’ascesa di Beppe Grillo e del Movimento 5 stelle.

Da sempre il giudizio dei generali e degli esperti di strategia stranieri sugli italiani è stato: soldati coraggiosi, eroici, comandanti incompetenti, carrieristi, vanesi e incapaci. Così pensava ad esempio Erwin Rommel

Gli alpini criticavano le scelte “tecniche” degli ufficiali? La fucilazione era garantita. I soldati protestavano? Seguiva la decimazione: tutti i soldati del reparto allineati, ogni decimo uomo veniva fucilato sul posto. Lo fecero anche i francesi. Quando la sinistra portò al governo Michel Rocard, istituì una commissione per ridare almeno l’onore ai militari vittime di errori giudiziari. In Italia al governo c’era Massimo D’Alema. Non erano temi di sinistra per lui e la sua gente.

Per me e la mia generazione la prima guerra mondiale è stata un tema dominante. Il film di Mario Monicelli “La Grande Guerra” uscì che entravo in quarta ginnasio. Il maestro post fascista in quarta elementare alimentava il mito degli austriaci caproni e miserabili. Quando andai a Vienna, ebbi un esempio della grande capacità di auto ingannarsi degli italiani.

In casa, i racconti di guerra, 30 anni dopo, erano frequenti. Erano storie tremende, ma erano riferite a quando mio padre aveva 20 anni. I ricordi di quando avevi vent’anni assumono, 30 anni dopo, la luce del mito.

Il racconto di mio padre confermava, dal punto di vista di un semplice fantaccino, quel che si legge nei libri di storia non avvelenati dalla retorica. In effetti gli austriaci erano allo stremo, avevano più fame di noi, anche perché loro erano isolati e noi avevamo alle spalle l’America, lezione che sfuggì a Hitler e che a noi è valsa la prosperità di questi 70 anni. Pensate se a Yalta ci avessero assegnato al blocco sovietico. Ve lo davano loro il paradiso dei lavoratori.

Gli austriaci erano affamati. Mio padre mi raccontò di un ufficiale italiano, un sardo, che sporse dalla trincea una pagnotta infilzata in una baionetta. Quando un austriaco disperato si affacciò dalla trincea, a pochi metri dalla nostra, per cogliere quel dono da disperati, il nostro eroe estrasse la pistola e lo uccise. Questo per un altro dei nostri miti, quello degli italiani brava gente.

Mio padre non amava le armi e la guerra ma non poté sottrarsi alla leva. Declinò l’offerta di un corso per ufficiali, si ritagliò un ruolo di infermiere-portaferito grazie alla sua esperienza come barbiere. Durante un attacco sul Carso, nel 1917, le schegge di uno schrapnel lo ferirono alle gambe. Mezzo secolo dopo ancora mostrava le cicatrici, asserendo che ogni tanto dalla carne emergeva un pezzetto di ferro.

Curò i feriti fino all’ultima dose di medicazione, che riservò a se stesso. Lo proposero per una medaglia, che ebbe solo, e di bronzo, molti anni dopo, perché, mentre lui era in ospedale, il suo battaglione si era ribellato, aveva subito la decimazione e tutti i premi erano stati sospesi per tutti.

Al tavolo dei vincitori, inglesi, americani e francesi ci trattarono da pezzenti, doppiogiochisti, traditori. Avevamo abbandonato la alleanza con Austria e Germania (la Triplice Alleanza finché c’eravamo anche noi) in cambio di promesse territoriali e coloniali a spese dei nostri ex alleati che poi i nostri nuovi compagni di squadra non vollero onorare. A questo contribuì l’inadeguatezza dei nostri primo ministro e ministro degli esteri, Vittorio Emanuele Orlando e Sidney Sonnino, litigiosi, isolati, incapaci di rompere il muro ideologico un po’ demenziale e prevenuto del presidente americano Woodrow Wilson.

L’Italia ottenne il Trentino, l’Alto Adige, il Friuli e la Venezia Giulia fino a Trieste. Ma città come Fiume e Zara, a maggioranza etnica italiana, vennero assegnate al nascente regno di Yugoslavia.

Inglese e francesi fecero poi carne di porco dello smembrato impero ottomano e del fu impero coloniale tedesco. Agli italiani restarono le briciole.

Fu la Vittoria mutilata, copyright di Gabriele D’Annunzio. Se volete capire meglio perché siamo ridotti così, non tragicamente male ma potremmo stare un po’ meglio, come gli altri grandi Paesi europei, fate sempre partire le vostre ricerche dai giorni che seguirono l’esaltazione del 4 novembre, concentratevi sulla Conferenza di Versailles, se potete leggete questo libro: Paris, 1919, sei mesi che hanno cambiato il mondo. Su Amazon, versione Kindle, costa 9 euro e mezzo. C’è un capitolo dedicato al fallimento italiano. Tutto ebbe inizio da lì…

 

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