Da Mirafiori a Melfi, la Fiat sola contro tutti, tra Agnelli, Romiti, Ghidella e Marchionne

In 40 mila sfilarono a Torino e cambiarono l'Italia

Mai cedere alla tentazione di confrontare i fatti del presente con le storie del passato. Ho provato a guardare le vicende sindacali della Fiat di oggi controluce con quelle di trent’anni fa e si è rivelata una fatica non da poco. E non sono affatto sicuro di esserci riuscito.

Mancano meno di due mesi al trentesimo anniversario della marcia del 40 mila a Torino, il 14 ottobre 1980, a conclusione di 35 giorni di Mirafiori, la fabbrica simbolo, ma a prima vista, come spesso accade per le ricorrenze, sembra solo una coincidenza, che tutto finisca lì.

Le due Fiat e le due Italie non si possono misurare tra loro, stiamo parlando di due pianeti diversi.

Grazie al cielo il calippo ha preso il posto della molotov.

Può però aiutare a capire meglio il presente ripercorrere il passato,

Per la Fiat oggi ci sono mercato globale e competizione mondiale, allora c’era la sopravvivenza. I problemi di oggi sono titanici eppure quasi normali, di modelli, di produzione, di vendita: sono trent’anni che la Fiat non conosce più quel clima tormentato di conflittualità permanente, di odio viscerale, totale e assoluto, che faceva anche un po’ paura e che teneva l’azienda impiombata a terra. Però. come in un loop da incubo, la limitata dimensione dei conflitti sindacali non basta da sola, senza tutto il resto, è condizione necessaria ma non sufficiente. E allora vediamo…

Come per una coincidenza che torni il tema del patto tra produttori, di cui trent’anni fa Agnelli, come Marchionne oggi, parlava, con molto seguito sui giornali ma poca attenzione dal mondo del lavoro.

Agnelli in realtà aveva in mente un disegno più grande, il superamento della guerra fredda e dei blocchi, la legittimazione del Partito comunista agli occhi degli americani, per salvare l’Italia dall’anatema, in caso di vittoria elettorale del pci, cosa che, alla fine degli anni ’70, si profilava inevitabile. Me lo spiegò lo stesso Avvocato dopo che fu uscita, con un certo clamore, un’intervista che aveva dato, testa a testa, a cena nella sua villa di Torino, a una giornalista di sangue blu editoriale, Lally Weymouth. All’epoca ero capo ufficio stampa della Fiat, non avevo gradito l’intervista e mi sembrava che non fosse proprio una grande idea. Un operaio del reparto verniciatura mi vendicò. Incaricato di accompagnarla in giro per Mirafiori, portai Lally Waymouth a vedere il reparto verniciatura. Lei sembrava molto interessata da quegli spruzzi di colore che trasformavano in brillanti carrozzerie le grigie scocche, chiedeva e un ingegnere spiegava. A un certo punto l’operaio addetto probabilmente si annoiò del ruolo di scimmietta e impresse una impercettibile torsione al polso della mano che reggeva la pistola del colore, un blu smagliante. La povera Waymouth, perfetta e inappuntabile in completo tortora,  dovette fare un balzo indietro sulle sue lunghissime gambe per evitare di finire come la 128 sulla linea.

Intanto in Italia le cose presero una piega diversa,  il “sorpasso non ci fu e tutto restò bloccato fino alla caduta del Muro.

Il fatto che questa vecchia teoria sia ricomparsa in un recente discorso di Marchionne, pur condita con l’ingenuo auspicio sulla fine della lotta di classe, farebbe pensare a uno speech writer che abbia fatto i suoi compiti a casa ripassando il lavoro dei predecessori.

Ma quando Agnelli parlava, quelli erano tempi duri davvero: dal presidente della Fiat all’ultimo capo squadra di officina tutti rischiavano una pallottola nelle gambe o più su. Uscivi di casa e ti dicevi: se mi chiama qualcuno non mi devo girare, devo fingere di essere un altro. I commandos dei terroristi, per essere proprio sicuri di non sbagliare, facevano un’ultima verifica con la vittima designata, chiamandola per nome.

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