ROMA – Quatto quatto il tema della legge bavaglio è tornato al centro dell’agenda politica italiana e si spera torni anche a suscitare il furioso dibattito e fiorire di interventi e iniziative che si ebbe quando a proporlo fu il ministro della Giustizia Angelino Alfano per conto di Silvio Berlusconi.
Per ora si tratta di una battuta buttata là dal segretario del Pdl Angelino Alfano e può essere solo una mossa di quelle da rigorista che spiazza il portiere, genere in cui Berlusconi è maestro. Ma la posta in gioco è molto alta, è bene stare accorti in momenti di grandi eventi come questi, dove i grandi principi di libertà possono finire travolte da una addizionale Imu o da impeti di inutile moralismo.
Nelle prime ore non c’è stato molto. La reazione dei giornali, con una eccezione, è stata un po’ distratta, un po’ imbarazzata, un po’ attonita. Un giornale come Repubblica, che in era Berlusconiana fu in prima linea, senza limiti né mezze misure, non sembra finora avere reagito come ci si dovrebbe aspettare. Certo l’apertura di credito quasi incondizionata da parte dei due principali quotidiani italiani, la Repubblica, appunto, e il Corriere della Sera, al Governo di Mario Monti e il processo di beatificazione avviato sui giornali dalla sua nomina possono avere reso difficile un atteggiamento critico, anche se c’è poco da dubitare che il bene e il male valgono in sé e non dipendono da chi li compie o commette.
Un precedente c’è. Quando alla guida del Governo c’era un altro “Santo”, Romano Prodi, la Camera approvò una legge bavaglio, con la firma del ministro della Giustizia del tempo, Clemente Mastella, che non andò avanti solo per la provvidenziale fine di quella maggioranza e che non venne riesumata da Berlusconi, una volta tornato a palazzo Chigi solo per cieca stupidità o arrogante presunzione o perché qualcuno lo aveva convinto che avrebbe potuto ottenere ancora di più, specie nei confronti della libertà di indagine dei magistrati, con una nuova legge.
Basta tuttavia confrontare le versioni agli atti della Camera per rendersi conto che la legge Prodi-Mastella conteneva, dal punto di vista della libertà di informazione, tutti gli elementi del bavaglio di Berlusconi. E la approvarono proprio tutti, tranne nove delle centinaia di deputati che ci onoriamo di mantenere. Nove deputati il cui nome merita di essere ricordato. Non saranno eroi come Matteotti, però, a futura memoria, eccoli: i Ds Giuseppe Giulietti, Franco Grillini e Marisa Nicchi, il rifondatore comunista Salvatore Cannavò, i Dl Roberto Zaccaria e Carra, i Verdi Tana De Zulueta e Roberto Poletti, l’ex Ds Giuseppe (detto Peppino) Caldarola.
Oggi come allora, appare abbastanza trasparente l’interesse di tutti i partiti, nessuno escluso, di soffocare la libertà di investigazione e quella di informazione. Un esponente serio e perbene come Piero Fassino scattò come una molla quando lesse su Repubblica di essere finito nel tritacarne delle intercettazioni e gridò alla “energenza informazione” non meno di Massimo D’Alema, che teorizzò il non uso dei giornali, troppo inaffidabili e l’esclusivo rapporto con la tv, canale asettico e acritico del suo pensiero.
Se questo era lo stato d’animo degli ex comunisti, che nei decenni precedenti avevano contribuito in modo importante a garantirci la libertà, qui in Italia, non possono stupirci le minacce ai giornali di Berlusconi, irritato da critiche e cronache, il quale scelse forse simbolicamente Praga come luogo da cui lanciare l’anatema. Per fortuna degli italiani, cercò di strafare o semplicemente si rivelò una tigre di carta.
Ma ci sono ora tutti gli indizi perché il serpente del bavaglio stia strusciando fra i piedi di un governo ipocritamente chiamato tecnico (uno dei dogmi della sinistra di una volta, quando era sinistra anche di ideali e non solo di potere, era l’anatema ai governi di tecnici). Al mai sopito desiderio di Berlusconi si è sommata, in crescendo, l’urgenza dei partiti.
Leggendo i giornali in questi giorni si ricava l’impressione di vivere una autentica emergenza di ladrocini, con lo storno dei fondi pubblici per la politica a fini personali, con la dilatazione oltre ogni tollerabile standard internazionale della mazzetta, che avvolge ogni cosa, per alimentare una lotta politica non ben regolata. Mazzetta che avvolge e soffoca perché è tutto un sistema che ci spreme, dallo Stato alle Regioni alle Province ai Comuni alle aziende e aziendine e enti pubblici a tutti i livelli (la rivoluzione, partita da sinistra, degli anni 90, portò alla morte dell’Iri, nel plauso generale dei giornali; Filippo Penati, ex comunista, si è rifatto un micro Iri provinciale milanese con il plauso – ancora – dei giornali).
Il corto circuito è stato sintetizzato così dal Fatto Quotidiano di sabato: “Rubano dappertutto e vogliono il bavaglio“, bavaglio alle indagini, bavaglio ai giornali, più difficile imbavagliare i magistrati inquirenti, che sono un potere fortissimo, molto facile imbavagliare i giornalisti, potere debolissimo, e i loro editori, potere senza etica.
Non c’è dubbio che l’uso tattico, a contingenti fini non solo politici ma anche solo erroneamente etici, di molte intercettazioni, ha permesso di utilizzare lo sdegno al fine di coprire la subdola manovra con l’esigenza del rispetto delle persone e di un principio che da noi non ha molta cittadinanza, quello del giusto processo.
Le norme che tutelano il segreto istruttorio ci sono già, solo che prevedono pene irrilevanti e nessuno le ha mai rispettate né fatte rispettare. C’è anche da dire che accade di rado che sui giornali escano documenti segreti, che i giornali violino il principio di segretezza. Il più delle volte si limitano a riportare i documenti ufficiali, pubblici, come mandati di cattura, lunghi decine di pagine, autentiche requisitorie prima del tempo del processo, o richieste di autorizzazione al Parlamento, come le ben note intercettazioni del caso Ruby.
I partiti non hanno però la forza di impedire ai pm di intercettare: il rischio per l’ordine pubblico e per la difesa dal crimine ordinario è troppo elevato. Non esiste paese al mondo dove gli investigatori non siano liberi di fare il loro lavoro e la risoluzione di numerosi casi attraverso le intercettazioni rende una limitazione del loro uso da parte di polizia, carabinieri e guardia di finanza un terreno minato che potrebbe solo aggravare il già precario rapporto tra i partiti e i cittadini. Caso diverso è l’uso delle intercettazioni a fini processuali e la loro diffusione preventiva, ma questo forse non avrebbe bisogno di nuove leggi, ma di una efficace applicazione di quelle esistenti e dei principi costituzionali ancora validi da parte dei giudici.
I partiti non hanno però nemmeno la forza di mettere dei precisi confini all’uso delle intercettazioni, da parte degli stessi pm, negli atti precedenti il processo in aula (da distinguersi da quelli che spesso si tengono nei vari salotti tv). Gli resta solo di incatenare i giornali.
Per questo il momento appare molto difficile, non solo per i giornali, ma per i cittadini i quali però, travolti dalla recessione, dalle tasse e dalla mancanza di lavoro, sono di questi tempi poco sensibili ad argomenti come la libertà e la qualità della loro informazione. Tocca ai giornalisti fare la parte per tutti, come fecero meno di due anni fa, nel 2010, quando c’era Berlusconi e come non fecero con Prodi.
Il segretario del sindacato dei giornalisti, Franco Siddi, ha già preso posizione, ma andrà poco distante se i grandi giornali lo lasceranno solo. Nel 2010 ci fu anche un grande sciopero contro la legge bavaglio di Berlusconi. Avranno il coraggio di fare qualcosa del genere anche con Monti?
Rileggete le parole soddisfatte di esponenti della sinistra anche esterna al Pd, persone per bene, nella vita civile avvocati e magistrati capaci, quando, nel 2007, alla Camera fu approvato il disegno di legge Mastella. Rileggete e portate un cero al vostro santo preferito, perché l’abbiamo scampata bella.
Ora aprite bene gli occhi, Monti si sente investito di un compito superiore, quello che lui ritiene sia salvare l’Italia e su un altare di questa grandeur tutti noi saremmo pronti a qualsiasi sacrificio. Se Parigi valeva una Messa, lo spread vale la nostra libertà, un bene borghese, un bene da ricchi, che non riempie la pancia e non fa swap.
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