di Marco Benedetto
Luigi Zanda propone di collegare gli emolumenti dei parlamentari italiani a quelli dei loro colleghi in Europa e due cose gravi succedono: si scatenano i grillini e la stampa fiancheggiatrice (I Fatto); il neo segretario del Pd, Nicola Zingaretti, “si smarca”, in puro stile Cominform, dicendo, farisaicamente che è una idea di Zanda, non del Pd. Come se Luigi Zanda non fosse un pezzo importante del Pd da ormai 16 anni, da quando per la prima volta di una lunga serie fu eletto senatore. E soprattutto come se Zingaretti non fosse consapevole della integrità e onestà, intellettuale e morale, di Zanda al punto da proporlo alla carica di tesoriere del partito.
Conosco Zanda da quasi 40 anni, non voglio dire di essere suo amico per non comprometterlo troppo. Tra le tappe della sua vita, ricordo due incarichi della massima delicatezza: fu il primo presidente del Consorzio Venezia Nuova, quello del Mose; fu presidente della Agenzia per il Giubileo del 2000. Non una voce, nemmeno un sussurro, sulla sua correttezza, formale e sostanziale.
Ricordo una volta, nei tormentati tempi di Tangentopoli, mi confidò con orgoglio: “Mi ha guidato l’esempio di mio padre, mi ha confortato l’amicizia con Carlo Caracciolo e Eugenio Scalfari”. Il padre, Efisio Zanda Loy, fu prefetto e capo della Polizia. Caracciolo e Scalfari sono ben noti nel mondo dei giornali e anche oltre.
La proposta di Zanda sull’innalzamento dei compensi è puro buon senso. La derivata demagogica inaugurata da Beppe Grillo e seguaci e imitata dal Pd fin dai tempi di Matteo Renzi è una delle cose più stupide che siano mai successe in Italia. Renzi poi la ha estesa con la demenziale norma che non retribuisce i pensionati impiegati in incarichi pubblici e, ancor peggio mi sento, fissa un tetto alle retribuzioni dei dirigenti pubblici.
Avere inseguito i grillini sul loro terreno non ha risparmiato al Pd l’umiliazione di perdere metà di quota dei voti. Sul piano dell’invidia e dell’odio sociale nessuno può sottrarre la palma al Movimento 5 stelle. Leggendo su Twitter delle ambizioni di Renzi alla giustizia sociale mi venne spontaneo il paragone con Juan Peron.
Nella mia idea di sinistra, la sinistra combatte l’ingiustizia con la crescita dei meno abbienti (dire poveri, di questi tempi, è un’offesa alla povertà che in tanti abbiamo conosciuto), attraverso una crescita complessiva della ricchezza nazionale; e la crescita dei loro figli compensando con istruzione e formazione quel divario, di ambiente oltre che di nozioni, che altrimenti sempre li separerà dai figli dei ricchi.
Ora date un nome e un cognome a chi ha distrutto la scuola italiana (ci si sono messi in tanti ma pochi ci sono riusciti proprio bene; chiedetevi chi nei fatti ha condotto la politica fiscale e economica italiana negli ultimi 20 anni. Grande sarà la delusione per questa ultima mutazione del Pci che si chiama Pd.
Ora questa pseudo sinistra è stata superata, come accade in natura, da una nuova specie più aggressiva e virulenta che si chiama M5s. Hanno tagliato le pensioni ai parlamentari, hanno sfilato, o finto di farlo, denaro dalle tasche dei loro parlamentari, salvo poi scoprire che per molti era solo una burla. (Lo fa anche il Pd, ma senza sbandierarlo, è un contributo al funzionamento del partito che ha origini con il primo Parlamento repubblicano).
Su queste buffonate di demagogia i 5 stelle sono imbattibili. Inutile inseguirli sul loro terreno. E anche vergognoso averne paura.
La proposta di Zanda è un atto di coraggio civile e politico. Ricorda quel film di Federico Fellini, “Prova d’orchestra”, che per una parte del mondo intellettuale suonò a fine della ricreazione post sessantottina; ricorda l’articolo di Giorgio Amendola su Rinascita, che diede l’altolà al Pci troppo tenero verso i “compagni che sbagliano”.
Legalitario e formalista Zanda ha scelto la strada del disegno di legge, quella più ovvia e immediata per un senatore della Repubblica. Un modo, va detto, per ridare dignità a una istituzione, il Parlamento, disprezzata e vilipesa da Grillo e seguaci a imitazione dell’aula sorda e grigia di Mussolini.
Dopo l’erpicatura grillina, in Parlamento potranno andare solo i ricchi, con reddito da rendita che i 10 mila al mese gli fanno un baffo, o quelli per i quali nella vita vera del lavoro vero duemila euro netti sarebbero un sogno. In mezzo ci sono gli errori di geografia, le gaffe sintattiche, l’incompetenza diffusa. In fondo, c’è un Governo di incapaci che sta mandando l’Italia in loop. Ovviamente, subito è scattata la reazione grillina.
Il Fatto ha esordito, giovedì mattina, con questo titolo: “Zanda suicida il Pd: alziamo gli stipendi dei parlamentari. Il nuovo tesoriere – Prima ha proposto di ripristinare il finanziamento pubblico ai partiti, ora di far salire gli assegni. E Zingaretti ringrazia”.
Troppo bello lo spunto per Luigi Di Maio. Ha appena confidato a Panorama che gli “piacciono le donne” e affida a Facebook, organo preferito di comunicazione fra il popolo dei descamisados, il suo robotico pensiero: “Oggi al Senato abbiamo approvato definitivamente il Reddito di Cittadinanza e Quota 100. Noi abbiamo approvato due misure per un nuovo modello di welfare e andiamo verso il taglio degli stipendi dei parlamentari. Qualcun altro – che mi dicono essere il tesoriere di questo “nuovo” Pd – nemmeno qualche settimana fa ha depositato sempre in Senato una proposta di legge per aumentare ulteriormente, invece, proprio gli stipendi dei parlamentari (equiparandoli a quelli degli europarlamentari). Parliamo di ben 2-5 mila euro in più al mese, che un lavoratore comune vede col binocolo. E sul salario minimo tacciono. Bella la sinistra falce e cashmere, ne sentivamo quasi la mancanza. Noi andiamo avanti!”.
Zingaretti trema e twitta: “Abbiamo già chiarito e confermo: non c’è nessuna proposta del Pd per un aumento degli stipendi dei parlamentari. C’è una proposta di legge presentata da Luigi Zanda, che ha tutta la mia stima, prima della nomina a tesoriere e addirittura prima delle primarie. No ai polveroni”.Era una occasione per dimostrare a qualche milione di italiani, quelli che costituiscono la parte migliore e produttiva del Paese, voti che erano del Pd e che Renzi ha perso per inseguire Beppe Grillo, che il Pd era davvero cambiato. Ma non è certo Zingaretti quello con quel tanto di quid che può recuperare. Finiranno davvero per fondersi con i grillini, una bella opposizione da 30%, come ai bei tempi.