Matteo Renzi e il complesso del tenore: gira su sé stesso ma... Matteo Renzi e il complesso del tenore: gira su sé stesso ma...

Matteo Renzi e il complesso del tenore: gira su se stesso ma…

Matteo Renzi e il complesso del tenore: gira su sé stesso ma...
Matteo Renzi e il complesso del tenore: gira su sé stesso ma…

ROMA – Tutti pronti a saltar giù dal carro di Matteo Renzi che sembra essere alle prese con il complesso del tenore. La graffiante analisi è di Giuseppe Turani che in questo articolo, apparso anche su Uomini & Business, spiega perché il leader del Pd sembra girare a vuoto. Aveva già detto tutto, ma negli ultimi tempi, si comporta un po’ come quei “soprano in pensione che continuano a far girare il disco delle loro interpretazioni alla Scala”.

 

Allora siamo già al tradimento dei chierici, cioè degli intellettuali, pronti a saltare giù dal carro di Renzi? Ci sono molti segnali che dicono questo. Si lamentano. Sostengono che il segretario è ripetitivo, orientato quasi solo a celebrare sé stesso e i suoi mille giorni al governo del paese.

In realtà, quelli che stanno prendendo le distanze non sono proprio chierici. Non fanno parte della storia recente di Renzi e in essa non hanno avuto alcun ruolo. Più che altro erano dei fan a bordo campo che si spellavano le mani alla vista di quel giovane giocatore arrivato da Rignano: ogni tiro in porta un goal, e loro giù con gli applausi.

In pochi anni aveva liquidato i vecchi padroni del partito e poi, soprattutto, aveva rottamato tutta la stanca tradizione rossa, fatta solo di nuove tasse, di consociativismo e di protezioni sociali un po’ a casaccio. E qui gli applausi dei chierici che adesso borbottano perplessi si erano trasformati in standing ovation.

Finalmente. Macron non era ancora apparso all’orizzonte, ma loro già indicavano Renzi come il Macron italiano, come lui che avrebbe dimostrato che si poteva essere di sinistra, ma anche liberal-democratici, cioè tagliando le tasse, motivando le imprese e riorganizzando il welfare.

Poi è successo, come capita spesso ai grandi campioni, che l’incredibile goleador arrivato da Rignano sbagli clamorosamente la partita della vita: cioè il referendum del 4 dicembre. L’Italia liberal-democratica (anche se magari ancora un po’ confusamente) stava là dentro. Ma lui perde.

Perde per mille motivi, cinquecento dei quali vanno messi sul suo conto personale. Troppo decisionista, troppo arrogante, troppo fiducioso nella sua capacità di sedurre le masse.

Gli altri cinquecento motivi di quella sconfitta vanno addebitati invece all’Italia che non vuole cambiare, all’Italia del familismo amorale (raccomandazioni, favoritismi grandi e piccoli, soldi pubblici trasformati in prebende). Tutta questa Italia vive e sta in piedi grazie a una politica e a uno Stato deboli. Ma quella disegnata nel progetto di referendum era un’Italia forte, meritocratica,  decisa a tagliare i ponti con la sua storia meno onorevole.

A Matteo, ecco una critica che oggi si fa, la colpa di non aver capito e valutato questa Italia, silenziosa e nascosta, ma in fondo maggioritaria nel paese. Troppa politica e troppe poche letture serie? Forse sì.

Quando perde, si comporta come un politico d’altri tempi. Si dimette da tutto e torna a casa, senza stipendi, senza vitalizi.

Fra i chierici che oggi fanno gli scontenti c’è anche chi applaude, e gli consiglia di sparire per qualche anno. Vada via, vada a Stanford in America. Si prenda una laurea in informatica o in antropologia. Oppure vada all’Mit di Boston e segua tutti i corsi di economia.

Lui non fa nessuna di queste cose. Nemmeno il tempo di cambiarsi pantaloncini e maglietta ed è di nuovo in campo, a correre, a tirare pallonate in porta. Riconquista a furor di popolo, il suo partito e torna a combattere. E’ evidente per tutti che vuole tornare a palazzo Chigi, vuole essere di nuovo il presidente del Consiglio. E’ un campione, e i campioni hanno giustamente grandi ambizioni.

E quindi torna sulla scena politica e parla, parla. Sembra quasi un’ossessione. Sembra che alle spalle quasi non abbia un partito di gente per bene e che gli vuole bene. Sembra che sia convinto che alla fine toccherà a lui, e a lui solo, vincere quella partita della vita che aveva perso il 4 dicembre.

Forse c’è anche questo. Di sicuro c’è che a Renzi piace parlare (è bravo), ma ancora di più piace ascoltarsi, come i soprano in pensione che continuano a far girare il disco  delle loro interpretazioni alla Scala.

Scrive un libro su queste stesse vicende. Da quel poco che si è letto ci sono anche pagine francamente imbarazzanti: l’autocelebrazione rasenta livelli quasi assurdi.

E nella testa dei chierici, oggi critici e forse già pronti a tradire davvero, si fa strada l’idea che il rottamatore, quello che aveva chiuso con una lunga storia consociativa e disgraziata della sinistra italiana, stia semplicemente girando in cerchio intorno a sé stesso. Un po’ come certi capo-comici che hanno solo una commedia nel loro repertorio, e quella rappresentano sempre.

Quindi sbaglia Renzi e hanno ragione i chierici che lo stanno abbandonando?

E’ possibile che abbiano ragione entrambi. In realtà, Renzi non ha molto di nuovo da dire perché aveva già detto tutto. Ma questo sarebbe un buon motivo per parlare meno e ascoltare di più. Per cercare davvero di capire perché il 4 dicembre non ha vinto.

Insomma, dovrebbe smettere di correre e di tirare pallonate, tornare negli spogliatoi e trovarsi magari qualche bravo allenatore.

In più deve combattere seriamente contro il Diavolo. Il diavolo è il grillismo, che fa continuamente proposte sbagliatissime, ma seducenti. Se lo si segue lungo quella strada, si finisce all’inferno, non in un’Italia e un’Europa migliori.

Mi accorgo, però, che sto facendo anch’io un po’ il chierico traditore. E allora mi fermo. Con un’ultima battuta: Renzi ha alle spalle un partito che gli vuole maledettamente bene, che non vede altro leader, e alle spalle ha anche tredici milioni e mezzo di persone che avevano votato per la sua riforma costituzionale, e questo è un patrimonio immenso. La battaglia per rifare l’Italia sarà lunga, forse lunghissima. Un bravo politico, giunto a questo punto, si ferma, tira il freno a mano, e cerca di organizzare il suo popolo. L’ordine di sparare sul quartier generale, di conquistare il potere, può aspettare.

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