Marchionne si fa la “Fabbrichetta”

di Mauro Coppini
Pubblicato il 30 Agosto 2011 - 16:18| Aggiornato il 26 Febbraio 2020 OLTRE 6 MESI FA

Sergio Marchionne (Ap-Lapresse)

All’origine c’era la “Fabbrica Italia” . Obiettivi ambiziosi: il raddoppio della produzione nazionale, comunicati atraverso una strategia che mirava anche più in alto. A confermare che il momento della rivincita per un paese vittima della sindrome dell’abbandono, era finalmente arrivato. Con un occhio alle nuove generazioni. Perché quel disegno infantile e accattivante a rappresentare una fabbrica vista con gli occhi di un bambino ammantata dei colori della bandiera aveva il fresco sapore di una promessa sincera fatta dal padre al figlio alla vigilia di Natale.

Anche per questo ora che il sogno di “Fabbrica Italia” ha lasciato il posto alla realtà della “Fabbrichetta Italia” la delusione è grande e finisce per coinvolgere l’intera strategia di Sergio Marchionne. Al punto di legitimare un dubbio che si va diffondendo anche tra i suoi ammiratori più fedeli. Ma Marchionne “c’è o ci fa?” Perché dare la colpa alla forza dell’euro nei confronti del dollaro per giustificare la cancellazione del programma che prevedeva la produzione di 300.000 Suv all’anno da vendere in Europa e negli Stati Uniti, è una impresa ardua e poco credibile. Perché la forza dell’euro non è una novità di questi giorni ma ha caratterizzato la moneta europea fin dalla sua adozione.

Così poco credibile che alla fine pare se ne sia accorto anche Marchionne visto che ha poi ripiegato, ancora una volta, sulla debolezza del mercato nel vecchio continente che non sarebbe così in grado di assorbire veicoli di questo tipo. Peccato che la realtà sia un’altra perché sono proprio i Suv di dimensioni compatte a salvare i conti dei costruttori. Di quelli che i Suv ce li hanno, naturalmente. E chi ce li ha è pronto a metterne in campo altri. È il caso dell’Audi con la Q1 e della Porsche che sta progettando una mini-Cayenne. E allora cosa rimane ai 5000 di Mirafiori che hanno fatto della delusione il loro habitat? Con i monovolume compatti affidati alla Serbia e la marcia indietro sui Suv Euro-Americani non resta che puntare sulla Mito. Non molto perché sarà pur vero che la Mito costituisce oggi il 50% della gamma della Alfa Romeo che infatti con l’uscita di scena della “159” è composta da due soli modelli, ma le sue vendite sono in calo ed il futuro si presenta pieno di difficoltà. Ma tutto questo ci riporta all’interrogativo iniziale.

Marchionne “c’è o ci fa?”. Perché dal punto di vista della razionalità produttiva era evidente l’improponibilità del progetto Suv a Mirafiori. Costruire a Mirafiori un auto basata su una piattaforma Usa destinata ad essere poi venduta in gran parte in America era di per se un suicidio industriale. E certamente Sergio Marchionne lo sapeva. Così come sapeva che la resistenza sindacale avrebbe potuto giocare a suo favore lasciando ad altri l’ingrato compito di trasformare un atto di buona volontà in un irraggiungibile miraggio. E così è stato con una serie di rimandi giustificati dai mancati recuperi, presenti e futuri, in tema di produttività.

Fino a quella dichiarazione di John Elkann al meeting di Comunione e Liberazione: “Ma l’Italia vuole ancora produrre auto?”, cui hanno fatto seguito i dubbi di Marchionne. Un gioco che non gli è riuscito con Pomigliano ma che ha dato buoni frutti con Mirafiori. Con il risultato che in attesa del raddoppio della produzione in Italia si procede a grandi passi al suo dimezzamento. In compenso vanno avanti gli investimenti sullo stabilimento ex Bertone di Grugliasco. Li si faranno le nuove Maserati, la “piccola”, su piattaforma Chrysler 300 C e la “grande”, evoluzione della attuale quattro porte. Naturalmente a spese dello stabilimento di Modena.

Un ulteriore brutto segnale per Mirafiori perché e ci fosse stata la minima intenzione di mantenerlo in vita si sarebbe potuto sfruttare gli spazi liberi, che certamente non mancano, dello stabilimento simbolo della Fiat. Intanto alla lista di quelli che “la Fiat non fa per me” iniziata con il passaggio di De Meo alla Volkswagen, si aggiunge il nome di Andrea Formica, ex Toyota, e nominato qualche mese fa direttore commerciale del gruppo torinese. Ha fatto appena in tempo a partecipare al lancio della Fiat Freemont prima di accorgersi che il suo ruolo, in mancanza di prodotto e di attenzione al prodotto, era poco più di una scatola vuota.