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Meloni e terzo mandato: rinvio a dopo le Europee quando potrebbe iniziare la fase 2 del governo

Meloni dopo le elezioni europee e terzo mandato: non si andrà al voto sull’emendamento della Lega sul terzo mandato, è scontato un rinvio a dopo le Europee. «Dopo le Europee si tirerà una riga. E potrebbe iniziare la fase 2 del governo», dice Giovanni Orsina, storico e politologo della Luiss Guido Carli, e direttore della School of government. Lo ha intervistato per Italia Oggi Alessandra Ricciardi.

Spiega Orsina: «La Lega è in crisi di identità, la sua area elettorale è stata coperta da Giorgia Meloni e lo spostamento a destra di Matteo Salvini finora non ha portato voti».
Sicché non è tanto il tiro alla fune sul terzo mandato per i governatori che inciderà sugli sviluppi prossimi della maggioranza, «Salvini mi pare abbia già fatto capire di essere disposto a cedere», ma «il risultato che la Meloni otterrà alle Europee e soprattutto che uso di quel risultato vorrà fare.
Tenendo presente», avverte Orsina, «che mettere in crisi il rapporto con la Lega alla fine può danneggiare tutti nella coalizione».
 
Domanda. Si susseguono i vertici per decidere sul terzo mandato, teme esiziale per la Lega che ha il problema di Zaia in Veneto.

Risposta. Non credo che andranno al voto sull’emendamento della Lega, direi anzi che è scontato un rinvio a dopo le Europee.
Del resto, le elezioni in Veneto ci saranno nel 2025 ed esporre ora tutta la maggioranza ai rischi di un voto in cui l’emendamento leghista potrebbe passare grazie alle opposizioni significa andare a una quasi crisi di governo.

D. Le tensioni tra Lega e Fratelli d’Italia non ci sono solo sul terzo mandato.

R. Sono tensioni tipiche di una campagna elettorale in cui il voto è proporzionale e dunque il gioco di squadra è vietato a prescindere. Ma si tratta di un tiro alla fune fisiologico, nessuno ha interesse a rompere, tutti si fermeranno un metro prima.
Del resto Salvini mi pare abbia fatto capire chiaramente che non è disposto a far questione di vita o di morte del terzo mandato. E poi le liti nel centrodestra non premiano. L’elettorato di centrodestra le ha sempre punite, vuole unità.

D. Il problema non è solo tra FdI e Lega, ma anche interno al Carroccio.

R. Andando al di là dei tatticismi di questa fase, c’è un problema politico serio che riguarda la crisi di identità del Carroccio. Se ripensiamo alla parabola storica della Lega questo è abbastanza evidente. La Lega si stabilizza alla fine degli anni 90 come costola nordista di Forza Italia, era la grande lobby del Nord, dei suoi ceti produttivi che era inserita nel progetto nazionale di FI.
Con la crisi di Silvio Berlusconi, nel 2011-2013, entra in crisi anche la Lega: il Cavaliere non può più garantirli.
E il mondo produttivo del Nord non può stare per sempre all’opposizione, ha bisogno di essere al governo, come aveva capito Bossi nella seconda metà degli anni Novanta.
Matteo Salvini arriva alla segreteria nel 2013 e ha avuto il merito di costruire l’ipotesi di un partito nazionale scommettendo sul modello sovranista di Marine Le Pen.
Il suo motto “prima gli italiani” dà una cornice nazional-populista al partito nella quale confluisce, alquanto malvolentieri, anche la vecchia Lega regionalista. Salvini prende un partito al 4% lo porta alle Europee del 2019 al 34%.

D. Nel 2019 c’è anche il Papeete.

R. È stato il suo grande errore, anche se bisogna dire che all’epoca a molti, anche nella stessa Lega, la rottura con i 5stelle parve essere la mossa giusta per uscire da un accordo che non funzionava.
Su questo errore si innesta Giorgia Meloni che in forza della sua coerenza recupera voti dal bacino elettorale che aveva fatto la fortuna di Salvini.
Da quel momento la storia è cambiata. Fratelli d’Italia è un partito nazional-conservatore, la Lega nazional-populista: non dico che siano semplici sfumature, ma l’elettorato in fine dei conti li percepisce come progetti simili. E così la Meloni erode consensi alla Lega, fino al successo delle ultime Politiche.

D. E ora?

R. La Lega è in crisi di identità. Poiché Meloni si è dovuta moderare, Salvini ha cercato allora di coprire lo spazio alla sua destra – che però, se stiamo ai sondaggi, visto che la Lega non va bene, non c’è, o quanto meno resta di dimensioni modeste.
Se alle Europee Salvini dovesse andar male i malumori di quanti erano contrari alla svolta nazionale del partito avrebbero la stura. Il problema è che tornare al Carroccio delle origini oggi non sarebbe troppo agevole, ma come partito nazionale non si capisce quali siano le differenze dalla Meloni. Oggettivamente per Salvini non è facile distinguersi e recuperare voti.

D. Lo sta facendo anche sulla morte del dissidente russo Navalny. Porta consensi?

R. Non mi pare. Anche perché la Lega è comunque parte della maggioranza: prima condivide le scelte politiche del governo e poi sembra prenderne le distanze. Gli elettori non se ne accorgono, se se ne accorgono non capiscono, se capiscono non approvano. E quanti voti sposta, in generale, la politica estera, e in particolare la posizione dell’Italia sul conflitto in Ucraina?

D. FdI spinge per un riequilibrio regionale e si accinge a fare un risultato importante alle Europee. Non è troppo per la Lega?

R. Che ci sia un riequilibro è scontato, FdI è primo partito, anche al Nord. Non può non avere qualche regione di peso. Altro discorso le Europee. Che Meloni abbia un ottimo risultato è scontato, il problema che uso vorrà farne.

D. In che senso?

R. Il problema di Meloni a mio avviso non è il rapporto con Salvini ma che il governo abbia avuto finora poca iniziativa politica. Certo, ci sono delle cose: la proposta di riforma costituzionale, la gestione dei migranti, il dialogo con i paesi africani, l’avvio della riforma della giustizia.
Ma tutto questo non basta a dare al governo un profilo politico robusto. Certo, ci sono delle attenuanti. Nei primi dodici mesi Meloni si è dovuta accreditare a livello europeo e internazionale. Poi è entrata nella campagna elettorale per le europee.
Ma dopo le europee si tirerà una riga: dovrà immaginare una fase due, un progetto per la seconda parte della legislatura.
Sarà capace di usare il suo consenso in Europa per cambiare gli equilibri continentali? Sarà capace di rilanciare l’azione di governo per un progetto di crescita del Paese?

D. Si temevano grandi sconquassi con il governo di centrodestra, lo spread non è schizzato alle stelle, il debito pubblico è sotto controllo, il Pnrr sta andando avanti.

R. Certo, anche questi sono risultati, e il governo potrebbe continuare legittimamente ad andare avanti così, anche perché dall’altra parte l’opposizione è divisa e priva di un progetto competitivo.
Ma bisogna vedere se a Meloni questo basterà. In caso contrario, dovrà iniziare una fase due dell’azione di governo.
E allora, a quel punto, i rapporti con la Lega sarebbero una derivata di questo nuovo progetto. Se la si mette sull’iniziativa politica è sempre meglio che se la si mette sui puri rapporti di potere. Anche perché una crisi nei rapporti con la Lega alla fine può danneggiare tutti, nella coalizione.
 

Marco Benedetto

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