Meloni vs Saviano. Politica e ingiurie. Ad essere messo sotto accusa è lo scrittore Robero Saviano reo di aver definito (durante una trasmissione televisiva del 2020) “bastarda” l’attuale presidente del consiglio Giorgia Meloni.
Lasciamo stabilire alla magistratura, come è giusto che sia, ragioni e torti. Non è di questo che vogliamo discutere oggi, ma del linguaggio che i politici (molti in verità) adoperano nei confronti dei loro avversari. Ne volete qualche esempio? Psiconano, ebetino, Pulcinella, rosicone e via di seguito. È una consuetudine che non accenna a diminuire nonostante spesso e volentieri si siano criticati i protagonisti di simili inqualificabili episodi. Badate bene: dalla Camera e dal Senato ci aspetteremmo un diverso comportamento, visto che dovrebbero essere loro a dare il buon esempio. Macchè, non è così.
Adesso, intendiamoci, non è che in politica non si debba combattere e far trionfare le proprie idee. Sarebbe assurdo pensare una cosa del genere. Ma un conto è considerare un uomo (o una donna) che non la pensa come noi un avversario non un nemico. Si dibatte, si discute, si alza anche la voce: tutto con i princìpi dell’educazione che nessuno di noi deve dimenticare.
Avviene sempre di più il contrario, tanto è vero che non tanto tempo fa un parlamentare si rivolse ad un suo collega proprio ricordando questa sana e sacrosanta abitudine. Al contrario, in molte occasioni, è contro la reputazione che si scagliano gli strali dei contendenti. Ora, vogliamo dire, il diritto di critica nessuno lo nega, in specie se è costruttiva. Ma un conto è rivolgersi a chi è contro le tue idee in maniera consona e civile; un altro è usare un linguaggio che non deve essere proprio di un uomo o di una donna che sono stati eletti dal popolo per rappresentarti.
Alcuni si difendono affermando che “non stimano un collega che la pensa diversamente da te”. Ebbene, si deve arrivare ad un linguaggio triviale ed offensivo se due pareri sono contrari? Assolutamente no. Ne va della credibilità che i cittadini hanno nei confronti di chi ci rappresenta nel Paese. E’ anche questo che spesso allontana il popolo dal potere e quindi della politica.
Durante le ultime elezioni del 25 settembre, non si è discusso di problemi importanti come lo spropositato aumento del gas e dell’elettricità, oppure dell’inflazione e della difficoltà per molti di mettere insieme il pranzo con la cena. Quelli erano problemi secondari rispetto a come si poteva mettere in difficoltà un collega che aveva criticato un tuo principio.
Così, invece di sedersi attorno ad un tavolo per discutere e dipanare le grandi questioni del Paese si è spesso preferito mettere in ginocchio “il tuo nemico”lasciando di stucco quanti leggevano i giornali o ascoltavano la radio e vedevano la tv. Atteggiamento incomprensibile che dovebbe far riflettrere i nostri uomini politici se non vogliono che la distanza fra il Palazzo e la gente aumenti a dismisura. Si prenda esempio di chi abita al Quirinale. Mai una parola fuori posto, mai un aggettivo che non siano consono. Questo è Sergio Mattarella rieletto per la seconda volta presidente della Repubblica.
Allora, dimentichiamo le ingiurie e gli improperi, si rimanga avversari ognuno con le proprie idee, ma mettiano nel dimenticatoio parole che non sono degne di uomini e donne che siedono in Parlamento. Se il trenta o forse più della gente non va più a votare una ragione ci sarà. O no?