Genova. Sfratto a librerie e teatri: cultura, politica, civiltà morte

di Michele Marchesiello
Pubblicato il 11 Aprile 2013 - 06:15| Aggiornato il 4 Gennaio 2023 OLTRE 6 MESI FA

GENOVA –  A Genova si sfrattano le librerie (non tutte: restano ben saldi i ‘supermercati’ del libro) e si aprono nuove gelaterie. ‘Asso-libro’ e Bozzi chiudono, mentre vanno a ruba cialde coni e coppette . Sempre a Genova qualcuno ha sostenuto, autorevolmente, che sono troppi anche i teatri (quelli veri, dove si inscenano da sempre le angosce, le passioni, le speranze dell’uomo civile) : meglio le ‘multisale’ , gli stadi e i vari ‘Pala…’ dedicati agli intrattenimenti di massa.

Mentre lo dico a tavola ( rassegnato, indignato?) i miei figli mi guardano con occhi inespressivi. Non capiscono loro, o – come è probabile – sono io a non capire?

Genova è stata sempre una città di grandi, voraci lettori. Le bancarelle intorno a Caricamento si riempivano, a ogni arrivo di transatlantico , dei libri letti dai viaggiatori durante la lunga traversata . Le novità arrivavano da noi prima ancora di essere tradotte, se ne discuteva nei caffè e nei ritrovi, sino a tarda notte.

E che dire della passione dei genovesi per il teatro ? In pochi ricordano la Borsa D’Arlecchino, Carmelo Bene, il teatro di Beckett , Adamov, Ionesco , che da noi ricevevano accoglienze calorose e critiche intelligenti. Erano i tempi di Aldo Trionfo e Paolo Poli.

E poi il Duse di Ivo Chiesa e Luigi Squarzina, secondo in Italia solo a ‘Piccolo’ di Milano , ora solo una malinconica processione di vecchie fotografie lungo il percorso che conduce alla sala.

Mancano i lettori di libri e gli appassionati di teatro, si conclude, ritenendo chiusa lì la questione. Ci si rallegra dell’aperture di nuove gelaterie e di nuove ‘multisale’. Trionfa la cultura digitale del web, di face book, di twitter: così diretta, istantanea, contratta , vagamente isterica.

In realtà la questione non è così semplice, né si tratta semplicemente di riandare nostalgicamente a un passato visto come ‘età dell’oro’ , così facile da considerare tale rispetto a un presente spesso ‘impresentabile’.

Ma non è proprio così. Sui libri e sulle discussioni anche furibonde che ne derivavano, sull’andare a teatro uscendone con la testa in fiamme , si fondava la convinzione di essere partecipi non solo della vita culturale della città, ma – soprattutto – della politica in quanto pratica appassionata del vivere civile.

Senza libri e senza teatro non ci aspetta soltanto una cultura diversa , ma il silenzio della cultura e, quel che è peggio, il silenzio della politica. E’ nei teatri e sui libri che, spesso senza darne l’impressione, si aiutano i cittadini a essere soggetti attivi della vita politica della città e del Paese. E’ nel confronto con la pagina e con il palcoscenico si muovono le coscienze intorpidite o quelle non ancora svegliate.

Senza libri e senza teatro si torna a essere sudditi di un Principe inesistente o – per ricordare il grande Beckett – destinato ad essere eternamente aspettato. Senza libri e senza teatro, infine, anche un gelato o una partita di calcio perdono molto del loro sapore.