Italiani rapiti e marò: storia di due “sequestri”

ROMA – Le due vicende – apparentemente dissimili – del sequestro ‘legale’ dei nostri marò e di quello illegale dei due avventurosi Colangelo e Bosusco, hanno portato in primo piano i rapporti con l’India ( un sub-continente di più di un miliardo di abitanti ) , paese per definizione ‘misterioso’. Esse – soprattutto – hanno messo a nudo le conseguenze devastanti della latitanza ormai pluridecennale di una politica estera italiana.

Chiamato a rispondere a emergenze che implicano una conoscenza approfondita di realtà politiche e culturali estranee alla nostra e una autonoma capacità di dialogare con le istituzioni espresse da quelle realtà, il nostro paese rivela quasi sempre improvvisazione e una imbarazzante incapacità di muoversi autorevolmente in base a una chiara visione degli interessi nazionali.

Che non ci si sia preoccupati di dare una ‘copertura’ giuridico-diplomatica al disinvolto impiego dei nostri militari a difesa degli armatori operanti nell’Oceano Indiano, e che ci si sia rassegnati ad accettare la versione – e la gestione – dei due episodi da parte delle autorità locali , confidando nel supposto autorevole intervento degli Stati Uniti o della Gran Bretagna, mostra ancora una volta come avesse – sciagaauratamente – ragione Silvio Berlusconi nell’affermare che la politica estera italiana non meritasse particolare attenzione, in quanto ‘la politica estera non interessava agli ialiani’ se non, appunto , in situazioni di drammatica emergenza.

In un recente saggio apparso sul settimanale indiano ‘Outlook’, la scrittrice Arundhati Roy ( nota anche da noi per il suo ‘Il Dio delle piccole cose’) svela e documenta aspetti molto interessanti a proposito dei ‘maoisti’ che infesterebbero le giungle dell’Orissa, apparentemente simili a quei soldati giapponesi che, a decenni dalla fine della guerra del Pacifico, continuavano a condurre quel conflitto per difetto di comunicazioni con la madrepatria. Che ci fanno i maoisti nell’Orissa , ci si dovrebbe chiedere.

Ma Arundhati Roy ci aiuta a capire , spiegando che un pugno di mega-compagnie ( i Tata, ma anche l’ADAG del miliardario Mukesh Ambani, una specie di Berlusconi indiano) ha sferrato una campagna senza precedenti per la privatizzazione , praticamente, ‘di ogni cosa’, compresa la terra e le sue risorse, in base al principio che è molto meglio vendere quello che non è necessario comprare. I broker di Wall Street, le multi- nazionali dell’agro-alimentare, i capitalisti cinesi stanno facendo incetta di intere fette del territorio indiano e delle relative risorse, idriche, agricole, minerarie. A questo scopo , però, occorre ‘liberare’ quelle terre dai legittimi occupanti: i contadini che su di esse e di esse vivevano. L’impressionante fenomeno dei suicidi di agricoltori spossessati o del loro ammassarsi negli slum intorno alle mega-città denuncia questa operazione di spossessamento forzato, portata avanti in nome del ‘progresso’ dell’India. I governi locali – e quello dell’Orissa in particolare –hanno venduto fiumi, montagne e foreste, attraverso una serie di MOU ( Memorandum of Understanding), sottoscritti in gran segreto con i nuovi padroni della terra.

Chi si è opposto a questa forma di deportazione è stato definito senza esitazioni ‘ guerrigliero maoista’ e si è dovuto misurare con la repressione militare da parte di milizie organizzate di ‘vigilantes’, incaricate di ‘bonificare’ con ogni mezzo le aree cedute a poco prezzo dalle autorità locali. I ‘maoisti’ sono stati proclamati la ‘più grave minaccia alla sicurezza dell’India’ ed è stata loro dichiarata la guerra: una guerra senza quartiere che ha visti bruciare villaggi interi, deportare e internare centinaia di migliaia di contadini, commettere atrocità di ogni genere nei confronti di chi ‘resisteva’ continuando ad arare e seminare i ‘propri’ campicelli. Il conflitto, se così lo si può chiamare, dopo alcuni anni di latenza, ha assunto i tratti di una guerra vera e propria, nella quale vengono ormai impiegati anche reparti dell’esercito e dell’aviazione indiani. L’India attende l’approvazione di una legge ( The Armed Forces Special Powers Act: AFSPA) che attribuirà alle forze armate una forma legale di immunità e il diritto di uccidere ‘on suspicion’ , per comportamenti anche solo sospettati di fini terroristici.

Per tornare ai nostri compatrioti e all’esigenza primaria di tutelarne la vita e i diritti, dobbiamo dunque chiederci, e chiedere, come sia possibile un’azione efficace del nostro Ministero degli Esteri, senza una conoscenza adeguata del contesto giuridico, politico, economico nel quale si collocano i sequestri. Nel caso dei marò è a dir poco soprendente l’assenza di un approccio giuridico corretto e rispettoso del sistema giudiziario indiano. La dimensione diplomatica – da sola – non è in grado di sciogliere i nodi giuridici che si sono stretti attorno ai due nostri ‘marine’ , intrappolati principalmente a causa dell’imprevidenza di chi li ha messi a bordo della ‘Enrica Lexie’, armati ma senza nessuna garanzia, e della sprovvedutezza di chi li ha consegnati alle autorità di Kochi. Mai gli Stati Uniti, la Gran Bretagna o la Francia si sarebbero lasciati mettere in una situazione così imabarazzante e umiliante: alla mercè – si può davvero dire – di situazioni interne indiane di natura elettorale ( le elezioni in Kerala contrapponevano i comunisti al partito ‘italianeggiante’ di Sonia Gandhi) ,o condizionate da un vasto fenomeno di espropriazione delle terre e alla conseguente repressione della resistenza contadina , frettolosamente definita ‘maoista’. L’Italia, che potrebbe trovare nel gigante indiano un poderoso alleato commerciale, è invece – ancora una volta – coinvolta , e strumentalizzata, in vicende che non è in grado minimamente di controllare.

 

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