Ingroia può non essere simpatico ma ha diritto di parlare. Sabelli ha sbagliato

Come magistrato e cittadino non provo particolare simpatia per il personaggio Ingroia: già l’essere ‘personaggio’, e il manifesto compiacersene, sembra poco appropriato per un magistrato della Repubblica. Vanità e ambizione non vanno d’accordo con quella figura istituzionale.

Ciò detto, non sembra apprezzabile la stizzita iniziativa del presidente dell’Anm, Rodolfo Sabelli, lasciatosi andare a una dichiarazione che rischia di mettere la magistratura in un imbarazzo ben maggiore di quello eventualmente provocato dalle parole del pubblico ministero palermitano.

La questione è della massima importanza e deve essere vista in una prospettiva più ampia della semplice querelle tra due colleghi.

Sabelli addebita a Antonio Ingroia di aver pronunziato ( nel particolare contesto della festa del ‘Fatto quotidiano’ e all’atto della consegna delle firme raccolte a sostegno dei pm di Palermo ) frasi “…di natura oggettivamente politica, tali da poter avere ripercussioni sulla ( sua) immagine di imparzialità”. Gli rimprovera inoltre – ma questo rimprovero si estende implicitamente agli altri magistrati presenti alla manifestazione, tra i quali il procuratore generale di Torino, Gian Carlo Caselli – di non avere abbandonato il palco nel momento in cui si levavano dal pubblico alcune manifestazioni di dissenso nei confronti del Presidente della Repubblica.

Sul primo punto, è evidentemente in questione il diritto di un magistrato di esprimere in pubblico opinioni ‘oggettivamente politiche’ e dei limiti che questo diritto deve incontrare per non diventare incompatibile con la natura delle funzioni esercitate.

Cosa ha detto Ingroia, stando ai giornali?

“Dovete cambiare questa classe dirigente e questo ceto politico.Il futuro è nelle vostre mani”.

Ora, che il futuro sia nelle mani dei cittadini è espressione ‘oggettivamente’ politica, ma certamente non tale da compromettere il prestigio e la credibilità del magistrato che la pronuncia.

Quanto all’esortazione a ‘cambiare la classe dirigente e questo ceto politico’, pur essendone indubbio il carattere, ancora una volta, ‘oggettivamente’ politico, si tratta di una affermazione generica, priva di riferimenti a persone e partiti specifici, che potrebbe essere fatta propria dalla stragrande maggioranza dei cittadini italiani, dagli orientamenti politici e dalle fedi più diverse. In questo senso pare fuori luogo il richiamo del presidente dell’Anm al dovere di riserbo e imparzialità cui ogni magistrato deve attenersi anche, e soprattutto, in occasione di manifestazioni pubbliche.

Sabelli aveva il diritto di criticare Ingroia, ma non poteva farlo come presidente dell’Anm, se non invadendo, in modo improprio e inopportuno, un terreno che non gli appartiene, che è poi quello dell’azione disciplinare, il cui promuovimento spetta al ministro della Giustizia e al procuratore generale della Cassazione (di cui attendiamo le eventuali iniziative in questo senso ).

A chi scrive è toccato il compito di difendere davanti al Consiglio superiore della Magistratura colleghi incolpati di dichiarazioni simili, se non più gravi di quelle attribuite a Ingroia. Indipendentemente dall’esito alterno di quei procedimenti, è emerso chiaramente dalle pronunzie della Sezione disciplinare che il diritto del magistrato di esprimersi pubblicamente in pubblico (anche su questioni ‘oggettivamente’ politiche) incontra il solo limite del rispetto della persona, delle istituzioni e del costume civile. Regole alle quali Ingroia sembra essersi prudentemente attenuto.

Trascuro , per la sua futilità, l’ accusa di non aver lasciato il palco al solo manifestarsi nel pubblico di dissensi nei confronti del presidente Napolitano. La violazione dei doveri ‘comportamentali’ non può essere valutata alla stregua della specifica sensibilità di ciascun magistrato. Il magistrato Sabelli, trovandosi al posto del collega, avrebbe lasciato ‘platealmente’ il palco, mettendo in imbarazzo gli altri magistrati presenti: non può tuttavia, come Presidente dell’Anm, rimproverare il collega per non aver fatto altrettanto.

 

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