Mafia Capitale, sentenza Eternit…il Paese che celebra le proprie esequie

di Michele Marchesiello
Pubblicato il 10 Dicembre 2014 - 06:08 OLTRE 6 MESI FA
Mafia Capitale, processo Eternit...il Paese che celebra le proprie esequie

foto d’archivio

ROMA – Nel nostro Paese la memoria continua a celebrare con sontuose cerimonie le proprie esequie. Non passa giorno che non ci si chieda di ricordare qualcosa o qualcuno che si dà per dimenticato, allo stesso modo in cui – nel giorno dedicato ai defunti – si colloca un fiore su una tomba che ne è rimasta e ne resterà priva per il resto dell’anno.

La parola stessa “memoria” – troppo spesso pronunziata – dà il suono sordo di una campana incrinata.

Il processo di smemoratezza ha assunto un andamento sempre più precipitoso, gli eventi – anche i più drammatici – vengono inghiottiti nella voragine senza fondo del ricordo.

La politica italiana ha imparato a profittare di questo fenomeno. Promesse, assicurazioni, proclami e annunci solenni vengono formulati senza tema di essere chiamati alla prova della memoria popolare.

E’ passato meno di un mese dalla scandalosa sentenza Eternit ( mai nome fu più appropriato per contrassegnare una vicenda basata sul decorrere del tempo ) e già sulla solenne promessa del premier, ‘ lo dobbiamo ai morti per amianto: metteremo subito mano alla riforma della prescrizione’ è caduto il velo pietoso della smemoratezza.

O peggio. Si legge che l’adempimento di quella doverosa promessa è subordinato – dagli alleati del centro-destra – alla modifica in senso restrittivo delle possibilità di ricorrere alle intercettazioni nelle indagini penali. Quid pro quo: la riforma della prescrizione è costretta nel limbo di una continua negoziazione tra interessi particolari, ma da cui resta sempre e comunque escluso l’interesse pubblico. Da un lato – quello delle intercettazioni – si vorrebbe garantire una sostanziale immunità alla delinquenza politico-criminale ( la tutela della “praivasi” ne fonda l’alibi ); dall’altro – quello della prescrizione – si pone in primo piano l’esigenza in gran parte corporativa di difendere con le unghie un processo del quale la lentezza esasperante non è un inconveniente ma la quintessenza, la qualità specifica ( la garanzia per l’imputato di non dover sottostare alla minaccia del processo a tempo indeterminato ne è la giustificazione apparente).

In realtà, basta pensare alla recentissima inchiesta sulla mafia capitale per comprendere come – senza un adeguato programma di intercettazioni, telefoniche e ambientali – quell’inchiesta non sarebbe mai nata e quei personaggi non sarebbero mai stati smascherati. Non solo: si pensi anche alle infinite vie di salvezza che, sotto l’attuale regime della prescrizione , dopo una prima fase processuale tanto clamorosa quanto condannata anch’essa a rapido oblio, si aprono per quei personaggi che la giustizia vorrebbe di ridurre all’impotenza.

E allora, c’è davvero un nesso tra prescrizione e intercettazioni: entrambe denunziano, a seconda della posizione che si sceglie al loro riguardo, gli specifici interessi e le prospettive di chi la assume.

La prescrizione, così come congegnata attualmente, ma anche l’eventuale significativa limitazione delle possibilità per la polizia giudiziaria di procedere alle

intercettazioni creano o creerebbero – di fatto – condizioni di impunità pressoché assoluta per quanti inquinano la vita democratica di questo paese.

Prigioniera volontaria di questo pericoloso equivoco, la “strana coppia” che ci governa trascura di percorrere le vie più giuste e ragionevoli per una riforma ( se davvero necessaria , come nel caso della prescrizione ) o per una applicazione delle norme esistenti che sia rispettosa della riservatezza e della dignità personali ( come nel caso delle intercettazioni, i cui abusi derivano non da lacune della legge ma da specifiche, anche se mai punite, sue violazioni).

La prescrizione, in particolare, è il più truce serial killer che si aggira per il nostro paese: in dieci anni ha ucciso più di un milione e mezzo di processi.

Per rendere inoffensivo il serial killer non basta ( ma costituisce un pietoso espediente ) allungarne il decorso di un paio di anni. Il rimedio esiste. Sarebbe sufficiente – come a suo tempo inutilmente proposto dall’ANM – stabilirne l’interruzione al momento stesso della sentenza di primo grado: da quel momento in poi dovrebbe decorrere una nuova prescrizione (in ipotesi: decennale per i reati più gravi, di sette anni per quelli meno gravi) . Sarebbe così consentito ai successivi gradi di giudizio di concludersi in tempi ragionevoli, senza pregiudicare in modo significativo i diritti dell’imputato-condannato in primo grado e – soprattutto – smontando il perverso meccanismo che induce all’impugnazione al solo fine di varcare l’agognato traguardo della prescrizione.