Magistratura, il caso Palamara è il suo coronavirus. A chi tocca la terapia e la riforma?

ROMA – Lo scandalo che ha investito la magistratura italiana rischia di diventare uno scandalo permanente. Capace di vulnerare in profondità il rapporto di fiducia che deve correre tra cittadini e giudici .

Le proposte di intervento sin qua formulate, provenienti dalla politica, dal mondo dei giuristi, dai più prestigiosi opinionisti, sembrano tuttavia generiche. Frutto di una sostanziale incomprensione dei problemi da cui quello scandalo ha tratto origine. La stessa magistratura – rimasta in gran parte silente e quasi attonita – non sembra in grado di fornire una diagnosi della malattia Malattia che – come un altro virus –  la percorre tutta.

Correntismo causa dei mali del Csm?

Se ne individuano le cause  nella degenerazione del CSM, preda dell’ormai famigerato ‘correntismo. Nel prevalere assoluto  della giustizia penale e dei pubblici ministeri  sul complessivo funzionamento della giustizia nel nostro Paese. Di quella civile in particolare. Nella mancata attuazione della separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri. Nella confusione  – collusione tra politica e funzione giudiziaria; nel rapporto di equivoca complicità tra questa funzione e ‘media’.

Tutte queste cause sono reali e richiedono opportuni interventi, sul piano normativo, a cominciare dalla riforma del CSM.

Non  bisogna però farsi illusioni eccessive  sulla sufficienza di queste misure legislative e di sistema.

Non c’è, credo, sistema elettorale del CSM capace di rimuovere i condizionamenti. Da parte di potenti lobby interne – ed esterne  – al  corpo della magistratura. Per determinare il funzionamento del CSM, l’assegnazioni delle sedi e dei compiti cruciali o più ambiti, l’influenza della politica ‘politicante’. Cioè della peggiore politica, su quelle scelte .

Non ci si facciano illusioni,  a partire dalla constatazione del davvero assordante silenzio con cui la vicenda che travolge il CSM è stata accolta dalla gran parte della magistratura.

Le dimissioni dei vertici Anm

Silenzio rispetto al quale le dimissioni del presidente e del segretario dell’ANM non  costituiscono una smentita. Ma, piuttosto, una tragica conferma dell’incapacità da parte dei magistrati associati di affrontare quella che si può a ragione considerare, per continuare con l’esempio del virus, come una vera e propria pandemia giudiziaria.

Tutti i magistrati ne sono stati affetti e condizionati. Chi ne ha approfittato, facendosi agente e complice interessato di quei vizi. Chi ha cercato di opporsi non disponendo tuttavia della forza necessaria a fronteggiare una deriva così devastante. Chi si è adattato, pur disapprovando, accettando suo malgrado di seguire la deriva.

La maggior parte dei magistrati ha solo cercato di mantenersi fuori del raggio del ventilatore che distribuiva tutt’intorno una materia maleodorante.

La crisi trova quindi le sue radici più profonde nel cuore stesso della magistratura italiana. E nell’incapacità delle sue suoi componenti  – correnti, associazione, singoli uffici –  di procedere a una dolorosa ma necessaria revisione critica e soprattutto auto-critica.

Per anni, forse decenni, la magistratura è stata impegnata a difendersi dalle mire di controllo o dagli attacchi della politica. Che in essa vedeva ciò che nessuna magistratura può essere : o un indispensabile strumento di potere  o un avversario acerrimo da combattere e ridurre al silenzio o all’ossequio.

Estenuati da anni di difesa dalle mire della politica

In questo sforzo protrattosi per decenni, la magistratura si è andata estenuando, è andata perdendo le caratteristiche di vivacità e orgogliosa  indipendenza. Che la Costituzione sembrava averle miracolosamente assicurato.

Gli uomini migliori della magistratura si sono battuti, anche a costo della vita, per affermare in Italia la supremazia della legalità, della rule of law.

Che questa battaglia sia stata vinta è discutibile. Certo è che i giudici o l’idea stessa che i giudici devono avere della propria funzione si è andata progressivamente indebolendo e degradando.

E’ successo qualcosa di simile a quanto accade dopo anni di lotte feroci tra avversari che – alla fine – si ritrovano così simili, e non per gli aspetti migliori, da convincersi  che è inutile continuare nella lotta ed è meglio trovare un accordo.

Non è un caso che manchi da tempo una riflessione, una indagine sociologica approfondita e autorevole, sulle trasformazioni subite dal corpo giudiziario negli ultimi decenni.

Falcone e Borsellino ridotti a icone

Ci si limita in genere a invocare Falcone e Borsellino, ridotti a icone di quelle stesse qualità coraggiosamente costituzionali che oggi sembrano far difetto nei loro eredi.

Si può solo constatare che quella magistratura battagliera non esiste più. Che è stata travolta dalla sua stessa lotta. Che – tecnicamente molto preparata – rischia oggi di somigliare molto da vicino a quella formata da funzionari/specialisti, da cui a suo tempo metteva  in guardia Giuseppe Maranini nel suo ‘Magistrati o funzionari ?’.

La domanda oggi riguarda proprio la composizione del corpo giudiziario, la sua psicologia, le pulsioni, le ideologie, le ambizioni, le motivazioni, le culture che vi prevalgono.

Oggi si può solo dire  – o almeno sospettare – che i vizi clamorosi emersi in seno al CSM e all’associazione nazionale magistrati, abbiano origine proprio all’interno di quel corpo che ci si ostina, superficialmente, a dichiarare ‘complessivamente sano’. Ignorando il tumore che lo consuma da dentro.

Occorre dunque non contentarsi di affidare al legislatore (oggi alle prese con analoghe difficoltà ) il tentativo di riportare la magistratura entro l’ambizioso e generoso  disegno tracciato dai Padri Costituenti.

E’ necessario, piuttosto, procedere a un esame complessivo di quel corpo evidentemente malato: malato culturalmente, psicologicamente, ideologicamente e – last but not least – malato politicamente, in quanto incapace di instaurare un rapporto sano e fecondo, non oppositivo né complice,  con la politica e col potere.

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